1991. La prima indagine di Franck Sharko.
I fan di Thilliez ricorderanno sicuramente la figura di Franck Sharko, presentata al pubblico all’inizio degli anni Duemila con l’uscita de Le macchia del peccato, un thriller crudo dalle forti tinte horror in cui l’allora commissario deve affrontare la sparizione di Suzanne, sua moglie.
L’autore decide di raccontare l’esordio di questo suo personaggio scrivendo “1991” durante il lockdown, riuscendo così a disconnettersi dalla realtà con sua enorme soddisfazione e tuffandosi appunto in un’epoca passata, ossia nel momento in cui Sharko diventa ispettore e fa il suo ingresso nella prestigiosa brigata anticrimine parigina, Quai des Orfèvres.
Ha trent’anni, è ancora inesperto e, appunto per questo motivo, gli vengono affidati gli incarichi più noiosi per espletare la sua gavetta, tra torve occhiate e canzonature dei colleghi. Nello specifico, passa le sue giornate a scartabellare informazioni che riguardano un cold case, il “caso delle Scomparse nel Sud parigino”: tra il 1986 e il 1989 tre donne sono state rapite, uccise e abbandonate nei campi, e, nonostante tutto il lavoro compiuto, il responsabile è ancora a piede libero.
“Avevano mostrato a Sharko le foto dei cadaveri fin dal primo giorno, e i suoi colleghi erano rimasti lì, intorno a lui, per sbirciarne l’espressione e avvisarlo che quello schifo sarebbe diventato il suo pane quotidiano, un peso da portarsi dietro ovunque, fino in fondo al cesso dopo una brutta sbornia.”
Negli anni Novanta Sharko è ancora fidanzato con Suzanne e non vivono nemmeno insieme, si tengono in contatto telefonicamente e si scrivono lettere usando il telefax perché, non dimentichiamolo, cellulari, computer, mail e quant’altro a quel tempo erano ancora agli albori. Fa sempre un certo effetto ricordare che anni fa, se si necessitava di parlare con qualcuno mentre non si era in casa, si poteva usufruire soltanto di gettoni e di una cabina telefonica.
L’ispettore Sharko è di fatto la classica ultima ruota del carro, ma un giorno si imbatte in Philippe Vasquez che, senza saperlo, diventa l’artefice della sua crescita professionale. È confuso, agitato e vaneggia di aver ricevuto un pacco contenente una copia de I fiori del male di Baudelaire, accompagnata da una lettera in cui una persona anonima lo invita a partecipare ad un gioco che lo porta al ritrovamento di una foto a dir poco raccapricciante. Lo scatto ritrae una donna con le mani legate alla spalliera di un letto e con un sacchetto di carta infilato in testa su cui sono stati disegnati occhi e bocca. Sharko capisce subito che la storia è scottante e decide di occuparsene direttamente, eludendo il protocollo.
“Non c’era ancora stata l’occasione di scendere in campo, ma smaniava dalla voglia di farlo. Si sentiva come un levriero bloccato nel box prima di una corsa.”
Sharko ad un certo punto si rende conto che il caso è una bomba ad orologeria e, quindi, anche gli altri colleghi della squadra si uniscono progressivamente alle indagini. Facciamo così conoscenza degli altri personaggi della storia, tra cui troviamo Sylvio Santucci, detto il “Corso”, che lo prende subito in antipatia per aver fregato il caso alla squadra di turno, Serge, il burbero della brigata piuttosto affezionato all’alcol, Titi, che inizialmente non va pazzo per Sharko ma poi si ricrede, e Florence Ferriaux, la collega che “aveva la sfortuna di essere carina, la prima e l’unica donna all’anticrimine da sempre”.
Thilliez esplora in modo molto marcato la psicologia di Sharko, un uomo che, nonostante sia ancora poco esperto, è dotato di coraggio e non esita nel buttarsi a capofitto nei suoi compiti. È una persona che non si lascia abbattere dalle punzecchiature e dall’indifferenza dei colleghi o dal fatto che gli sia stato assegnato un caso vecchio di anni, senza capo né coda. Mette l’anima in ciò che fa e, soprattutto, ci mette la testa. È anche riflessivo e si lascia prendere dalle emozioni quando inizia a capire che gran parte della sua esistenza, feste comprese, dovrà essere immolata al suo lavoro. Pensa a Suzanne e alla loro vita insieme: lei sarà in grado di capire? E lui riuscirà a dedicarle le attenzioni che la sua amata merita?
“1991” è ambientato in una Parigi misteriosa, cupa, grigia e maleodorante. Qui si percorrono strade sporche, luoghi ameni e vicoli in cui ogni piccolo rumore fa sobbalzare, dove si cammina in punta di piedi con i sensi sempre all’erta, rischiando ogni minuto la propria vita. Anche nel commissariato aleggia l’odore di stantio, di bicchierini del caffè ammonticchiati in un angolo e di sigari fumati a metà abbandonati nei posacenere. I luoghi dei ritrovamenti delle vittime sono caldi e umidi, l’aria è rarefatta e tetra, tutto mette angoscia.
Il caso del Metodico, così viene ribattezzato l’artefice del delitto immortalato nella foto, è costruito con tutti i crismi. Thilliez, anche questa volta, ha deciso di offrire al lettore una trama che è un vero e proprio rebus da risolvere, centellinando ogni indizio, gestendo la situazione in maniera impeccabile e, in pratica, davvero complicata da risolvere. La connessione tra una indicazione e l’altra è di fatto invisibile, ma, essendo studiata ad arte, finirà per trovare il suo senso, anche se solamente nell’ultima parte del romanzo. L’autore, del resto, è un vero fenomeno nell’indicare la strada giusta da percorrere per risolvere l’enigma, ma lo è altrettanto nel fuorviare il lettore.
“1991” è una continua sorpresa, un evento segue l’altro senza tregua, senza digressioni che appesantiscono la lettura, il ritmo non si incaglia e non rallenta. Lo stile narrativo di Thilliez anche questa volta non delude, anzi, appassiona grazie all’assenza di fronzoli, a dialoghi sempre brillanti, uniti a un’atmosfera rappresentata egregiamente.
In questo romanzo si racconta di riti vudù e di escapologia, argomenti singolari che possono destare curiosità. Ma, senza ombra di dubbio, le tematiche affrontate sono davvero molto forti. Si parla di disturbi della personalità, bullismo, pedofilia, violenza di genere, tutti argomenti che, purtroppo, non conoscono una fine. Thilliez li tratta senza troppi giri di parole, sempre in maniera molto cruda e disturbante, come nel suo stile, perciò chi è abituato ai suoi romanzi non si stupirà, mentre chi inizierà a conoscere questo autore proprio leggendo “1991” sia consapevole del pericolo.