WW (DiRottamenti) – Istruzioni estreme

C’è chi (da quel che si racconta) c’è andato giù un po’ pesante: «Ecco Dio!», avrebbe gridato Jean-Jacques Rousseau morendo, «Il sole mi chiama, Dio mi apre il suo seno, essere degli esseri» (frase anche complessa per uno che sta passando a miglior vita). E chi invece non ha perso il buonumore: Henri Heine, «importunato sul suo letto di morte da un prete che gli ripeteva che Dio l’avrebbe perdonato: “Perché no, disse, è il suo mestiere!”».

A raccontarlo è Paul Morand, in un libretto appena pubblicato da Sellerio, L’arte di morire. Il testo è accompagnato da una prefazione di Giuseppe Scaraffia che introduce la singolare figura di questo scrittore dandy (nato nel 1888 e morto nel 1976), famosissimo in Francia tra gli anni Venti e gli anni Trenta e poi caduto in disgrazia per la sua adesione al governo collaborazionista di Vichy.

A incuriosirmi, contenuto del trattatello a parte (come sarebbe il caso di morire, come sono morti i famosi, che hanno detto o perché hanno taciuto, come non si è saputo più morire nel Novecento), è l’intervista finale, sempre di Scaraffia, a Gabriel Jardin, figlio del diplomatico e uomo politico Jean Jardin, e figlioccio di Morand.

Ne viene fuori il ritratto di un uomo pavido e diffidente, infedele ma succube di una moglie coltissima e feroce, Hélène Chrisoveloni, che, figlia di un banchiere greco, nata in Moldavia e divorziata nel 1924 dal principe Dimitri Soutzo (attaché militare all’ambasciata di Romania), portò sino alla morte il titolo di principessa.

Morand, che aveva nove anni meno di lei, la chiamò sempre così e pagò anche l’adesione alle idee filonaziste e antisemite di lei. Eppure era una donna di grandi amicizie letterarie, Proust in testa, raffinata, buona conoscitrice del suo tempo. Così Ernst Junger la ricordò nel suo Diario: «Quello che mi colpisce di più in questa donna è il suo acuto senso della politica, questa forza particolare che mi affascina tanto quanto mi fa orrore. C’è sempre qualcosa di magico in lei, e soprattutto questa volontà di ferro».

Morand, invece, spiega Jardin, «Non aveva una visione politica. Diceva molte sciocchezze…». Però L’arte di morire è da leggere. Oggi appare provocatorio, come molte sue opere. Ma tutt’altro che inutile.

valeria palumbo

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