Regia: Niels Arden Oplev. Sceneggiatura: Rasmus Heisterberg, Nikolaj Arcel, dall’omonimo romanzo di Stieg Larsson. Interpreti: Noomi Rapace, Michael Nyqvist, Peter Haber, Lena Endre, Marika Lagercrantz, Sven-Bertil Taube, Bjorn Granat, Ingvar Hirdwall. Distribuzione: Bim. Svezia/Danimarca, 2009, col. 152’
Quando un film è tratto da un libro, i paragoni si sprecano sempre, e quando il film è tratto da un libro che è ha venduto 8 milioni di copie nel mondo, i paragoni sono obbligatori. È il libro che si rende manifesto, ed è atteso come il Messia. Autentico caso letterario dell’anno, Uomini che odiano le donne è la prima parte della trilogia Millenium, quella dedicata alle indagini circa la scomparsa di Harriet Venger, affidate dallo zio della ragazza a un giornalista caduto in disgrazia a causa di una condanna per diffamazione. Solo in Italia il libro ha venduto più di 700.000 copie ed è reperibile ovunque, dalle migliori librerie fino agli uffici postali e agli autogrill, accanto a birra e camogli. Un caso letterario che ha tenuto svegli e che ha saputo coinvolgere chi lo ha letto, ma proprio chi lo ha letto, probabilmente rimarrà deluso dal film.
Nel film, di produzione svedese/danese, è stato tolto tanto (operazione inevitabile a cui anche Peter Jackson ha dovuto ricorrere nonostante le 12 ore di durata dei suoi film), ma è stato tolto dando per scontato che gli spettatori abbiano letto il libro. L’impressione è che nel film si salti da un punto all’altro senza preoccuparsi troppo della concatenazione logica, e lasciando così allo spettatore il compito di riempire i momenti mancanti con ricordi della lettura, rendendo difficile la comprensione per chi invece non conosce già la storia. C’è infatti un inizio molto rapido e concitato che lascia poco spazio a presentare i personaggi e ci catapulta da subito, e un po’ a sorpresa, nel mistero di Harriet Venger. Scompaiono molti personaggi, che avrebbero invece un ruolo non troppo secondario e molto viene affidato al vecchio poliziotto Morell, qui non ancora in pensione. Lo scheletro del libro c’è tutto, eppure suona diverso. La trasposizione è fedele, ma cambia un po’ colore e si costringe ad un finale un po’ meno crudele e molto ad effetto, non lasciando che nulla rimanga impunito e celato. Il lato nero che Larsson ha voluto raccontare rimane visibile solo tra le maglie di un film ben confezionato, ma poco audace. Atteggiamento molto comune a film che aspirano al grande pubblico.
Un altro punto debole è la scelta del cast. Se in Svezia Noomi Rapace, che interpreta Lisbeth, era stata inizialmente criticata per i troppi muscoli che mostra, invece io sono dell’opinione che si sia dimostrata un’attrice diversa, dotata di una sua spiccata originalità e che ben nasconde, sotto facce dure e sguardi severi, quella bellezza un po’ misteriosa che la contraddistingue. Discorso opposto per Michael Nyqvist nella parte di Mikael Blomkvist. Uno degli attori svedesi più amati, vincitore di vari premi nazionali, Michael, a mio avviso, perde parte di quel fisico, di quel fascino e di quella simpatia che caratterizza il giornalista Blomkvist. Ci si aspettava un personaggio alla Clive Owen di Sin City o Inside Man, sicuro di sé e fatale, ma troviamo un personaggio che ha sì lo sguardo attento e brillante, ma che lascia un po’ a desiderare in quanto a fascino. Scelta eccezionale invece per i ruoli di Henrick e Dirch, due anziani che rispecchiano la simpatia dei personaggi della carta stampata e che riescono a comunicare con bellissimi e rapidi cambi d’espressione quelle violente emozioni che li sconvolgono.
E chi non ha letto il libro?
Per chi si presenta al cinema senza aver letto il libro, il film sarà una piacevole sorpresa appena superato l’inizio caotico. Il regista Oplev, attorno ad una trama semplice e molto lineare, che dà quel ritmo vivace che nel libro a volte manca, ricostruisce le atmosfere della Svezia e del romanzo, esaltando gli aspetti cinematografici con campi lunghi e panorami mozzafiato. Non si perde in lunghe descrizioni di luoghi e personaggi che a volte mettevano in pausa lo svolgimento della trama del libro, ma semplificando e rendendo più cinematografici i personaggi (dire e fare, piuttosto che pensare e aspettare), anche i loro rapporti guadagnano in brillantezza e immediatezza. Un’operazione non facile, ma riuscita, che ci consegna un giallo a tinte thriller e noir, forse non originale, ma decisamente interessante. Da vedere e apprezzare, aspettando un molto probabile remake di produzione USA.