UNA FAMIGLIA TOSSICA. OTTO OSPITI SOSPETTI. UN SOLO ASSASSINO. TUTTI SONO COLPEVOLI… MA CHI HA UCCISO MERCY MCALPINE?
Qui tutti mentono, ma solo uno tra noi è anche un assassino… Benvenuti al McAlpine Family Lodge: una vacanza in questo lussuoso resort in alta montagna, nel cuore dei Monti Appalachi, sembra l’ideale per trascorrere un po’ di tempo lontano dalla frenesia della vita moderna e ritrovare sé stessi. Se non fosse che qui tutti mentono. Mentono sul proprio passato. Alla loro famiglia. A sé stessi. Poi, una sera, Mercy McAlpine, che fino a quel momento era stata una figlia modello, minaccia di rivelare i segreti di tutti. Poche ore dopo, Mercy muore. In una zona così isolata, per un assassino è facilissimo farla franca. Peccato che Will Trent e Sara Linton – rispettivamente agente speciale e medico legale del Georgia Bureau of Investigation – abbiano scelto proprio il McAlpine Lodge per la loro luna di miele… Intrappolati nel resort, loro malgrado dovranno districare una rete di segreti vecchia di decenni per scoprire cosa è successo a Mercy. Ma con il killer pronto a colpire di nuovo, tutto a un tratto la vacanza di una vita si trasforma in una corsa contro il tempo…
“Un motivo per mentire” di Karin Slaughter è un thriller “non propriamente detto”.
Nonostante una narrazione a tratti lenta e molto prolissa, l’autrice utilizza uno stile narrativo che alterna momenti di suspence a momenti di calma piatta. Il nodo del problema risiede nel fatto che abbiamo a che fare con un delitto in stile “camera chiusa” ma anziché essere ambientato in una stanza vera e propria, Karin Slaughter decide di ambientarlo in un Lodge sperduto tra le montagne.
Peccato che, fino a prova contraria, questo stile si adatta di più ad un giallo e non ad un thriller che, di per sé, richiama adrenalina e colpi di scena. Infatti, uno dei problemi principali di questo libro è proprio la mancanza dell’elemento fondamentale che caratterizza il thriller: “to thrill”. Rabbrividire.
Non basta descrivere una o più scene crude e cruente per avere tra le mani un thriller.
Come in ogni libro in stile “camera chiusa”, anche qui abbiamo una miriade di personaggi che, purtroppo, non sono caratterizzati in maniera approfondita. Il lettore conoscerà solamente quelli che sono i personaggi principali mentre degli altri verrà delineato un profilo superficiale. Questo porta a non poter raggiungere al cento per cento un’empatia con loro, non si riuscirà ad entrare nelle loro menti per poter analizzare le loro intenzioni. Non riuscire ad entrare nella mente dei protagonisti (si parla al plurale perché in un libro del genere tutti sono protagonisti) ostacola lo scopo stesso della “camera chiusa”. Tutti mentono, è vero, ma come si fa a determinare “CHI” se non abbiamo abbastanza spunti di riflessione? Impossibile.
Allora, una domanda sorge spontanea: Karin Slaughter ha voluto ispirarsi a “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie oppure al libro di Gaston Leroux “Il mistero della camera gialla”? Ed ecco di nuovo il problema principale: stiamo sempre parlando di quello che dovrebbe essere un thriller e non un giallo.
Prendiamo ad esempio “Dieci piccoli indiani” e riprendiamo un attimo il discorso dei personaggi. Come ben ricorderete (se avete letto uno dei più grandi capolavori di Agatha Christie) tutti i personaggi di questo libro sono al centro dell’attenzione, tutti sullo stesso piano, con la loro storia, i loro rancori e segreti.
In “Un motivo per mentire” si accenna costantemente ad un movente ma mai si approfondisce in maniera tale da poter avere uno spiraglio di intuizione! È vero, abbiamo una famiglia strana, non troppo legata e piena di scheletri nell’armadio ma questo non basta. Non servivano tutti questi personaggi per far funzionare la narrazione. Infatti, questa risulta rallentata proprio perché si è scelto di avere troppe teste da riempire.
Un punto a favore, invece, è dato all’ambientazione. Il lettore si ritroverà immerso in un bosco che racchiude al suo interno un Lodge e una miriade di cottage. Come sfondo abbiamo un grande lago rischiarato solamente dalla luce lunare. L’assenza di connessione con la civiltà rende l’ambientazione molto cupa (almeno fino a metà libro) in grado di generare una leggera ansia.
Insomma, in conclusione posso dire che “Un motivo per mentire” di Karin Slaughter è un libro godibile ma al tempo stesso privo degli elementi fondamentali che dovrebbero tenere il lettore sul filo del rasoio. La prossima volta sarebbe meglio decidere tra giallo o thriller, senza fare un mix tra i due generi.