I libri di Matteucci non si leggono soltanto, ma ci hanno abituato ormai a partecipare di persona. Insomma, fin dall’inizio si sale subito di quota e ci si sente parte della trama. Sissignori, e fin dalle prime pagine, zac, siamo impegnati nel tentativo di restare incollati alle terga del tutore delle legge, l’ispettore Marzio Santoni. Oddio, con un po’ di fiatone, confessiamolo, gli anni passano e dovremmo disporre di ben altra tempra e allenamento per tener dietro alle avventure, sia investigative che amatorie del nostro apripista e testimone, il biondo e lungo crinito Lupo Bianco, lucida testa d’investigatore, olfatto sopraffino, mente ben allenata che si lascia guidare dall’istinto e dubita delle coincidenze. Ma ormai rotti dalla consuetudine con la quale Matteucci ci ha viziato nelle precedenti letture, godendo ben presto dei vantaggi di un’acclimatazione e di un buon adattamento, già dalle prime pagine cominciamo anche a individuare i profumi e a cogliere l’intimo aspetto di un vasto ambiente montano descritto con la cura e l’attenzione di chi lo conosce davvero e lo ama. Ma torniamo a noi: Lupo Bianco, ormai inamovibile ispettore locale, una meritata promozione a vice questore lo allontanerebbe inesorabilmente da Valdiluce, è un bell’uomo, alto, robusto, legato alla sua valle come una fiabesca entità. In una notturna follia obnubilata dai magici fumi di essenze che sanno inventare contorte realtà potremmo quasi definirlo un mix adulto tra Peter Pan e Heidi. La sua radicata appartenenza al paese fa sì che talvolta (non sempre) riesca persino a incrinare la connaturata e testarda omertà dei suoi stravaganti concittadini. Santoni, che poi oltre alla natura, ama gli animali, ha costruito negli anni una sua pseudo famiglia domestica fatta dal riccio Arturo, dal topo Mignolino, dal pipistrello Puppy e dal branco di formiche addirittura capaci di prevedere il tempo che farà. Dal precedente e intrigante capitolo della serie, la famiglia si è allargata con la felice adozione di Romeo, un bastardello rimasto orfano, autoelettosi segugio delle squadra.
È il 12 agosto quando arriva quella telefonata, con la disperata richiesta di aiuto da parte del dottorino, il sostituto fresco fresco del dottor Franzelli, l’anziano ex medico (da poco ha scelto la pensione) condotto di Valdiluce. Franzelli, a dire del sostituto, sta morendo avvelenato, ha rifiutato il prete, l’erculeo e subdolo Don Piero, e invece ha chiesto di Marzio Santoni. Vuole e pretende di parlare solo con lui. Ma il malaugurato incidente, con un camion per traverso che ha completamente interrotto la strada costringendo il nostro eroe persino ad abbandonare la sua fida vespa bianca e a tagliare per otto chilometri in salita per i boschi, lo farà arrivare troppo tardi alla vecchia baita del dottore. Ugo Franzelli ormai è morto. E il suo segreto finirà, ohimè, chiuso con lui nella tomba. A meno che Marzio Santoni, coadiuvato dal suo impagabile assistente Kristal Beretta, che carbura divorando la vasta gamma dei cioccolatini Ferrero, riesca a scoprire quale fosse l’inconfessabile mistero nascosto dall’anziano sfegatato e ancora mandrillesco amico Franzelli con l’hobby della pittura. Mistero che, a conti fatti. potrebbe essere il vero e unico movente che ha spinto l’assassino a uccidere. Ma cosa diavolo è accaduto in quella baita, isolata tra gli Appennini? Nella disordinata vita in cui Franzelli mischiava da sempre strane frequentazioni, abuso di afrodisiaci e droghe fai da te, per poter sanare con successo svariati malanni degli abitanti del paese, ne aveva anche appresso tanti segreti. Appoggiato al suo cavalletto da pittore c’è un quadro con un ritratto abbozzato di un giovane, o così pare, circondato dalle bocche dei cannoni sparaneve della stazione sciistica. Potrebbe essere il ritratto dell’assassino? Nella baita, troppo pulita per le abitudini del suo padrone, il vaghissimo sentore di una pietanza ,mischiato a quello di agrumi di un famoso detersivo confonde l’ispettore Santoni. Sarebbe la prima volta che la sua straordinaria capacità olfattiva è messa all’angolo e fatica a districarsi. L’indagine butta male all’inizio andando a confondersi subito tra rivelazioni incrociate e scambi di accuse in decine di piste, con le Mirtillaie a fare da cassa di risonanza. Loro, le Mirtillaie, il semisatanico gruppo di donne anziane del luogo che sanno tutto di tutti e comunicano tra loro via Internet (nulla sfugge ai loro occhi e orecchi fini ma ingombranti). Non basta poi perché tutti i potenziali testimoni hanno qualcosa da nascondere e tengono ostinatamente la bocca chiusa.
Santoni pur con la sua valida squadra di collaboratori – vedi il suo vice, Kristal Beretta impavido pilota della sua Suzuki Samurai, nessuna condizione atmosferica potrà arrestarlo, ormai in coppia con il canino segugio Romeo e con l’irrinunciabile supporto del maresciallo Pieretti a capo del team della scientifica – si trova a fronteggiare un caso terribilmente intricato, in cui ogni ricostruzione magari si rivela un insanabile pasticcio, mentre ogni minuscolo ingrediente potrebbe essere un indizio.
Poi però a complicare viepiù il quadro della situazione è arrivato a Valdiluce un gruppo di tosatori di pecore maori (sissignori la globalizzazione ci insegna che oggi i mestieri migrano con le stagioni. Insomma in Nuova Zelanda o il paese dei Kiwi, quando in Italia è tempo di tosare le pecore, la è pieno inverno. Ragion per cui i maori seguendo il lavoro e il guadagno…) E dunque diventare anche l’aiuto per la squadra di Valdiluce di teste e soprattutto braccia molto utili se c’è da battersi con gli assassini. Ma che a conti fatti finiranno con introdurre anche un nuovo misterioso interrogativo: il loro aitante e possente capo Mikaere sarà riuscito a insidiare il cuore di Ingrid Sting, la ormai traballante fidanzata di Lupo Bianco Santoni?