Poiché sono del Toro, dunque pigro, e poiché sono nato il primo maggio (festa dei lavoratori) mi ritrovo doppiamente pigro. Per cui il mio primo intervento è quello di offrirvi un breve spaccato della mia introduzione al prossimo libro “GialloScacchi-Racconti di sangue e di mistero” che dovrebbe uscire a maggio, come già annunciato nella presentazione. Sperando di prendere due piccioni con una fava. Interessarvi all’argomento e magari all’acquisto dell’antologia.
Le Olimpiadi di scacchi che si sono svolte a Torino nel maggio 2006 hanno offerto uno spettacolo entusiasmante per il numero di paesi coinvolti e l’eccezionale forza dei contendenti. Maschi e femmine. Tutti carini e sorridenti, gentili ed amabili prima della stretta di mano che segna l’inizio della partita. Poi tutti incarogniti davanti alla scacchiera per cercare di vincere, di “fare fuori” letteralmente l’avversario. Sì, perché questo “nobil giuoco” ha in definitiva ben poco di nobile. Solo l’aggettivo che fa da paravento ad un istinto di sopraffazione primordiale. Gli scacchi sono lotta, diceva il secondo campione del mondo Emanuel Lasker. Lotta dura, senza tregua e senza scampo. Per vincere occorre “mattare” il Re, colpirlo, distruggerlo. Anche se molte partite terminano prima per non assistere a questo traumatico evento. Il Re, in definitiva, rappresenta il nemico che ti sta di fronte e ti vuole a sua volta morto e sepolto. E non solo in senso figurato. Qualcuno dirà che sto esagerando. E’ vero, ma mica tanto. Si dice che Baldwin, figlio di Ogier il danese, uccidesse Charlot, il figlio di Carlo Magno, spaccandogli la testa con la scacchiera perché era stufo di perdere e che il figlio di Pipino il Breve per una sconfitta a scacchi con un nobile bavarese lo abbia soffocato ficcandogli in gola una torre. Forse sono leggende ma quello che faceva Voltaire, l’illuminista francese, è pura verità. Se perdeva con suo padre gli tirava i pezzi e lo prendeva a bastonate. In un torneo degli anni settanta disputato in Toscana un giocatore alzò la mano per catturare la Regina. L’avversario gliela prese quando era ancora per aria e gli dette un morso. L’episodio fa sorridere ma anche pensare.
La regina del giallo Agatha Christie fu una delle prima a capire cosa succede nell’animo tormentato degli scacchisti. In Poirot e i quattro fa usare all’omicida un pezzo degli scacchi ( il “Testa d’uovo” in un altro giallo dichiara “E’ difficile vincermi a questo giuoco”) per uccidere il suo avversario. L’Alfiere di Re del Bianco è attraversato da un elettrodo e il circuito elettrico si chiude nella casa b5, così quando il suo conduttore sposta l’Alfiere proprio in quella casa, come è solito fare, viene fulminato e muore di paralisi cardiaca. Idea affascinante, talmente affascinante che è stata poi ripresa pari pari da Roberto Berna in L’avventura del vice-campione mondiale di scacchi , il Giallo Mondadori 1962, ripubblicato nel 1986 con la piccola variante della scossa elettrica che si becca, questa volta, nella casa b4, e da Roberto Gravina in Eterodelitto (si copia dappertutto!) dove l’omicidio avviene attraverso un metodo ancor più subdolo e sottile. Con un vermicida liquido e trasparente l’assassino ricopre l’Alfiere nero che serve per uccidere, non un antipatico avversario ma evidentemente una ancor più antipatica mogliera. In questo caso, però, il colpevole non viene scoperto e il fatale Bishop (alla lettera il vescovo ma nella terminologia scacchistica si tratta sempre dell’Alfiere) è posto in una piccola vetrina a perenne memoria del sublime misfatto. E a proposito di questo pezzo degli scacchi esso è lo pseudonimo usato da un maniaco per una serie di delitti in L’enigma dell’Alfiere del celebre aristocratico investigatore Philo Vance, interpretato magistralmente, ai suoi tempi, alla televisione da Giorgio Albertazzi. La trama è un po’ complicata ed è bene che chi ne vuole sapere di più si procuri in qualche modo Chi ha ucciso il campione del mondo? Scacchi e crimine già citato. Ovvia!
Il diabolico Bishop sta anche alla base del racconto La curiosa omissione di Isaac Asimov in I racconti dei vedovi neri, minimum fax 2007. Il signor Atwood ha ricevuto un lascito di diecimila dollari da un suo amico burlone, chiusi in una cassetta di sicurezza in una banca degli Stati Uniti. Per trovarla deve riuscire a decifrare il significato della frase “La curiosa omissione in Alice” che gli è stata detta in punto di morte. A risolvere l’enigma è il solito Henry, il cameriere della strana e divertente combriccola dei Vedovi Neri, basandosi proprio sul doppio significato di Bishop, Alfiere e vescovo.
Altri delitti in cui l’assassino si firma con pezzi di scacchi li troviamo ne La scacchiera del delitto di David Keith Cohler. A New York, a poche ore di tempo l’una dall’altra, muoiono tre famosi atleti: un giocatore di baseball, un fantino, una tennista mentre un pugile rimane gravemente ferito da un pacco dono. Accanto alle vittime viene trovato un Cavallo per il fantino ed il pugile, una Donna per il tennista, un Alfiere per il giocatore di baseball. Durante un incontro di basket viene trovato un involucro con un messaggio di sfida “Adesso che conoscete le regole, possiamo cominciare a giocare”.
Anche Sherlock Holmes fu coinvolto in una avventura scacchistica. Precisamente ne Il cerimoniale dei Musgrave dove ad un certo punto si rende conto che le parole di un rituale descrivono i movimenti dei pezzi e sono indizio della posizione di qualcosa da scoprire. Enrico Solito, una delle maggiori autorità in relazione al Nostro, si è cimentato nel binomio scacchi-giallo con il racconto che qui troverete apparso in altre pubblicazioni. Perfino nel suo libro Sherlock Holmes e le ombre di Gubbio, Hobby and Work 2006, c’è un accenno al gioco degli scacchi quando Holmes assiste ad una partita tra i perugini Benelli e Permoli e tira fuori una osservazione sul curioso meccanismo mentale dei giocatori di scacchi “Uno si aspetterebbe che ciascuno pensasse alla partita anche mentre è l’altro a muovere, in modo da usare tutto il tempo a disposizione”. “E’ proprio così, infatti”. “Niente affatto, invece” obbiettò il mio amico. “Il giocatore si concentra al massimo durante il proprio tempo e riposa durante la mossa avversaria. E’ curioso ma l’ho osservato in modo costante e voi due non fate eccezione: ora è il turno del professor Permoli di astrarsi dal mondo reale. Nevvero, professore?”.
E a proposito dell’investigatore per antonomasia non posso non citare la SAC, un’azienda inglese specializzata nella produzione di scacchiere d’arte che all’inizio del Duemila ha prodotto due giochi di scacchi dedicati al nostro investigatore. I pezzi bianchi raffigurano Holmes (il Re), Watson (l’Alfiere), la sua governante (la Regina), l’appartamento di Holmes (la Torre), i poliziotti (i pedoni); quelli neri le forze del male: Moriarty (il Re), Irene Adler che riesce a sconfiggere Holmes nell’episodio “Scandalo in Boemia” (la Regina), il mastino dei Baskerville (il Cavallo), la cascata svizzera dove Holmes perde la vita (la Torre), i malviventi (i pedoni).
Questo elemento del rapporto scacchi-crimine si ritrova anche in Scacco al Re per Nero Wolfe (perfino nel titolo e nella copertina dove è ritratto un serafico Wolfe che tiene un Cavallo nero nella mano sinistra) interpretato, sempre magistralmente e sempre ai suoi tempi, dall’indimenticabile Tino Buazzelli. In breve la signorina Sally Blount si presenta a Nero Wolfe per scagionare suo padre Matthew dall’accusa di omicidio. La scena del delitto è il Gambit Club, un circolo di scacchi dove il forte Paul Jerin sta sfidando in contemporanea dodici avversari tra cui il padre di Sally. Per meglio concentrarsi Jerin è chiuso in una sala separata e quattro messaggeri fanno la spola per comunicargli le mosse degli avversari. Ogni tanto beve una cioccolata calda che ad un certo punto viene “corretta” con l’arsenico. A portargliela e a ritirarla è proprio Matthew. Il corpulento investigatore riesce a risolvere il caso attraverso una strana analogia tra il delitto e un gambetto, una particolare apertura che prevede il sacrificio di un pedone. Ne La mossa del Cavallo del noto Camilleri l’ispettore capo Giovanni Bovara (e non il solito Montalbano) pensa alla mossa di questo pezzo degli scacchi per saltare ed evitare le trappole tesegli dagli avversari.
Spesso sono gli stessi personaggi che hanno il pallino di Re e Regine. Philip Marlowe, il popolare investigatore creato da Raymond Chandler, le cui opere sono state pubblicate anche sui prestigiosi Meridiani della Mondadori, si diletta a ricostruire partite di scacchi tratte da un testo pubblicato a Lipsia, mentre Van Veeteren, commissario svedese di Hskan Nesser che ricorda per certi aspetti il più noto Maigret, è un vero appassionato del nobil giuoco. Anche Lord Peter Wimsey, affascinante creatura di Dorothy Sayers, conosce gli scacchi ma, pur essendo un tipo alquanto snob e con una robusta considerazione verso se stesso, dichiara (in uno dei suoi rarissimi momenti di umiltà) “Non sono bravo. Mi piace, ma continuo a pensare alla storia dei vari pezzi e alle caratteristiche delle varie mosse. Così vengo sconfitto. Non sono un giocatore” (Lord Wimsey e il mistero del Bellona club, Donzelli 2006).
Giorgio Scerbanenco in Venere privata, grazie anche agli scacchi riesce a dipingere Livia Ussaro, l’esca utilizzata per incastrare i responsabili degli omicidi, come una donna tutt’altro che passiva ed estremamente interessante nel suo ruolo di “adescatrice non professionista”. Il vedere una scacchiera “la riportava al tempo del collegio, delle suore di cui ricordava solo il passo frusciante per le camerate, delle mattine buie d’inverno nella gelida chiesa, con la messa che le sembrava eterna, combattuta tra il sonno ancora imperioso e la fame nascente, e la ricreazione in sala nei giorni piovosi, con le gare di “bella lettura”, di ricamo, di dama, di scacchi, perché dovevano essere suore sportive, di spirito agonistico. E per questo ricordo l’unica cosa decente in quell’indecente luogo era quell’astratto geometrico oggetto con quei simbolici pezzi di legno”.
Com’è andata? Vi siete interessati? C’è qualcosa che vi ha colpito? Fatemelo sapere che io cerco di rispondere a tutti.