Ultima corsa



richard stark
Ultima corsa
alacrán
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Pooley, Stati Uniti. Separatosi dai suoi complici in seguito ad un colpo in banca finito male, disarmato e braccato dalla polizia, impegnato in una disperata fuga tra i boschi, il “duro” Parker, maestro della rapina, si imbatte nel rancoroso Tom Lindhal, un triste paesano di mezza età che, per ragioni apparentemente inspiegabili, lo salva dai suoi inseguitori.
Appena giunto in un luogo sicuro, il rapinatore scopre che l’uomo ha una proposta da fargli: ex impiegato dell’ippodromo locale licenziato per aver scoperto e denunciato un giro di riciclaggio di denaro sporco, Lindahl vuole vendicarsi dei vecchi datori di lavoro alleggerendoli degli incassi di un’intera giornata di corse, e per farlo ha bisogno dell’aiuto di un professionista.
Restio a lavorare con sconosciuti e principianti, ma ritrovatosi completamente a secco (le banconote del colpo precedente si sono rivelate segnate, permettendo alla polizia di arrestare uno dei suoi vecchi complici), Parker accetta di collaborare con Lindahl.
Comincia così la preparazione del nuovo colpo, ma intanto in città la caccia all’uomo prosegue, e i boschi brulicano di paesani impreparati e sovraeccitati, armati di fucili da caccia e identikit dei rapinatori…
Scritto nel 2006 come seguito di Nessuno corre per sempre (Nobody runs forever, del 2004), Ultima Corsa, recentemente proposto ai lettori italiani da Alacràn, riproduce la formula classica dei romanzi di Parker (dalla situazione iniziale disastrosa, all’organizzazione di un colpo “sicuro”, dall’insorgere delle complicazioni, alla messa in atto del piano, dal tradimento dei complici, all’improbabile lieto fine), eppure, nonostante il personaggio sia ormai giunto alla soglia della trentesima avventura, la meccanica “familiare” della narrazione risulta non solo accettabile, ma ancora perfettamente funzionante e in grado di produrre romanzi piacevoli e avvincenti.
Lo stile di Stark è, come di consueto, scarsamente descrittivo, anti-poetico, iper-oggettivo, radicalmente minimalista nel senso migliore del termine, quello che rimanda alla grande tradizione del realismo minimalista americano. Il ritmo della narrazione è regolare, serrato, privo di punti morti; in Ultima corsa l’unica “stravaganza” che l’autore si concede è l’inserimento della “falsa soggettiva” di un distaccatissimo ed ultra-pragmatico pappagallo (pp. 161-163).
La psicologia dei personaggi, “duri” o semplici “persone comuni” in cerca della grande occasione, è perfettamente delineata con pochi, essenziali, tratti. I dialoghi sono perfetti.
Non sarà forse il massimo dell’originalità, questo Ultima corsa, testamento dello scomparso Donald E. Westlake (1933- 2008; autore di una novantina di romanzi firmati con il suo vero nome o con gli pseudonimi Richard Stark, Tucker Coe, Samuel Holt, John B. Allan, Judson Jack Carmichael, Sheldon Lord ecc.), ma di certo intrattiene egregiamente, e merita di essere letto anche in quanto ultima lezione di sobrietà e ritmo impartita a scrittori, aspiranti e semplici appassionati, da un maestro che se ne è andato senza mai tradire la propria poetica, senza tardi ripensamenti, rettifiche e tentativi di fuga, ancora legato alla vecchia macchina da scrivere nel momento in cui un infarto fulminante lo ha steso, lo scorso 31 dicembre.

fabrizio fulio bragoni

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