Una storia che scorre ribollente come lava del Vesuvio, ma con crianza, direbbe il commissario Veneruso, protagonista sui generis di questo romanzo e che una volta acchiappato il lettore lo scaraventa nel proprio mondo e lo trascina nei vicoli di Napoli, dai vasci dove le criature fanno la vita e si mangia miseria, ai palazzi dove stanno i ricchi e gli intrallazzi.
Il commissario Veneruso si svegliò all’improvviso, ma per sbaglio e senza più voce, come se qualcuno gliel’avesse uccisa in gola, lasciandolo vuoto: senza parole e senza pensieri.
Sono le cinque del mattino del 28 luglio 1883 e nello stesso momento in cui il commissario riapre gli occhi, una piccerella di tredici anni appena, Patrizia, che fa la vita in un vascio del Rione Carità, viene seviziata da uno dei suoi clienti. Un colpo secco alla gola e la lama poi scende fino al ventre. Fino alla fortuna.
Veneruso, della Polizia Reale di Napoli con ufficio in Piazza Dante, da una settimana sta a letto con un febbrone da cavallo e non ha risposto a nessuno quando sono andati a cercarlo nel tugurio dove vive, in un vicolo dei quartieri spagnoli.
Si era preso una febbre improvvisa e illogica che aveva costantemente oscillato tra i trentotto e mezzo e i trentanove gradi, muovendosi tra le due tacche, avanti e indietro, senza mai spingersi più su o più giù per giorni, inchiodandolo nel letto come l’ultimo dei moribondi.
“Colera” aveva sentenziato subito Veneruso, sempre lucido e sempre ottimista, toccandosi la fronte. “Oppure tifo petecchiale, o febbre emorroidale, o un mezzo vaiolo.”
Invece era solo febbre.
Una febbre potente che lo aveva mantenuto inattivo e lontano dal mondo per sette giorni e sette notti. Per un’intera settimana non aveva potuto, né voluto, vedere nessuno, né ricevere assistenza, aiuto, compagnia e neanche subire scassature di cazzo, che quelle non mancavano mai, pure quando si era malati. Soprattutto. E invece, durante i sette giorni di malattia, aveva sentito bussare più volte alla porta di casa: sempre qualche fattorino frettoloso mandato dal suo ufficio.
“Messaggi urgenti dal commissariato!”
Veneruso non si era mai alzato dal letto e mai aveva aperto.
Fattosi forza e uscito finalmente di casa una volta rimessosi, anche perché non ha più nulla da mettere sotto i denti e la fame si fa sentire, vestitosi come se fosse inverno per non pigliare freddo ed evitare ricadute, durante il tragitto sino al commissariato, uno stagnino gli dà la sua chiave di lettura dell’eclatante omicidio della baronessa Salomè, trovata a letto, mezza nuda, legata con una corda, e commesso dal marito cornuto, secondo lui.
Subito dopo Veneruso viene acchiappato al volo da una prostituta di terza classe: secondo lei sarebbe la giovane amante del marito l’assassina. Poco più avanti anche il parroco, don Limatola, dirà la sua sull’omicidio e lo stesso farà il cameriere del Caffè Caflisch e perfino un mendicante, aggiungendo ognuno nuovi particolari e colpevoli alla pruriginosa storia, in un intrigo di tradimenti e depravazioni da ricchi, che fanno venire il mal di testa a Veneruso. Ma arrivato finalmente in Piazza Dante, con le scarpe nuove in pelle di vitella che gli fanno maledire ogni passo, il commissario troverà la principessa Veronica Puccini che gli indicherà il vero colpevole, suo marito, altro amante della nobildonna, uccisa al culmine di un gioco erotico troppo spinto. Caso risolto. Ma sarà veramente così? O quella morte nasconde altro?
Intanto lo studioso Armand Bordò, un tipo dai baffi curiosi che Veneruso aveva intravisto al Caffè Caflisch, viene assassinato con venti coltellate all’interno della Sala Consultazione della Biblioteca nazionale che custodisce il testo originale di Leopardi, “L’infinito”. Insieme all’immaginario bibliotecario, Guerriero Guerrieri, cultore della lingua napoletana che intende salvare dalla morte dovuta alle scelte scellerate di chi predilige l’italiano come lingua ufficiale, troviamo cinque personaggi storici realmente esistiti, il filosofo Benedetto Croce e lo scrittore del primo giallo italiano, “Il mio assassino”, Francesco Mastriani; il poeta Salvatore Di Giacomo, la scrittrice Matilde Serao e il giornalista Edoardo Scarfoglio.
Bordò era odiato dagli intellettuali perché continuava a depredare la città dei suoi beni letterari. I cinque letterati che avevano firmato un manifesto contro di lui, si trovavano tutti a poca distanza dal morto, ognuno in una diversa sala, e tutti hanno visto il colpevole fuggire, ma tutti mentono. E tutti nascondono un coltello.
Chi ha ucciso dunque Bordò?
E chi ha ucciso in modo così atroce la piccola Patrizia che faceva la vita? Che collegamenti ci sono tra i tre omicidi?
Diego Lama, già premio Tedeschi nel 2015, costruisce questo romanzo come un lungo piano sequenza, col lettore che segue passo passo i pensieri e le indagini di Veneruso. In venti capitoli, uno per ogni ora di quel 28 luglio 1883, quando in serata una violenta scossa di terremoto in Campania provocò 2300 morti, tra cui i genitori di Benedetto Croce, il commissario risolverà l’intrigato caso, ricostruendo una fitta trama di interessi e retroscena che attengono, come sempre, alla natura dell’uomo.
Personaggi indimenticabili e siparietti irresistibili, arricchiti da un’accurata opera di scavo e recupero di parole desuete, rendono “Tutti si muore soli”, un’autentica chicca nell’affollato panorama italiano.
Spiega l’autore: “Il primo titolo provvisorio dato a questo romanzo è stato La morte delle parole perché – al di là di Veneruso, dei delitti e delle indagini – le parole e la lingua napoletana rappresentano il tema principale – il campo gravitazionale – intorno al quale ruota l’intera narrazione. Per questo motivo sono state inserite all’interno del romanzo molte incomprensibili parole in lingua napoletana (quasi come una sonorità, un sapore), rispettando il senso originario del vocabolo.”
Non manca un ironico riferimento alla regina del giallo da camera chiusa, Agata Christie, e al suo assassinio sull’Orient Express, quando un aiutante di Veneruso formula la propria teoria sull’omicidio di gruppo in biblioteca.
Un giallo godibilissimo, Tutti si muore soli, che si legge volentieri e catapulta il lettore nella Napoli di fine Ottocento, in compagnia di una carrellata di personaggi che rimangono impressi.