Tutta colpa di Dio



aa.vv.
Tutta colpa di Dio
Ad est dell'equatore
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In Italia i racconti funzionano sempre poco, ammettiamolo. Le cose stanno cambiando, o almeno così sembra, ma a casa nostra le storie brevi non pagano né ripagano ancora. Non lo fanno quasi mai, purtroppo, e quando capita si può gridare al miracolo. Anzi, si deve.

Scrivere e pubblicare racconti, dunque, rappresenta una sfida, una partita difficile da vincere e, per questo, ancora più bella da giocare. Gli autori sanno bene quanto sia arduo confrontarsi con una vicenda da condensare in poche pagine e solo chi pubblica, invece, conosce quali ansie nasconda un investimento del genere.Pensare di esordire sugli scaffali italiani con un prodotto di questo tipo, quindi, rappresenta più di un scommessa: è un azzardo bello e buono. Che ci crediate o meno, la casa editrice “Ad est dell’equatore” ha deciso di spiccare questo salto nel buio pubblicando la raccolta Tutta colpa di Dio che – come evidenzia il risvolto di copertina – si annuncia come “un’eterna caduta libera nella metà oscura dell’animo umano”. In poche parole, uno di quei viaggi da fare se si ama il noir tutto pancia e cuore.

Sette autori napoletani (di cui uno esordiente) si confrontano senza paura con i vizi capitali e ce li raccontano come sanno e come vogliono, a volte affidandosi anche all’ironia, altre alla spietatezza. Sette voci molto diverse, ma nessuna fuori dal coro.

Andrea Santojanni fa i conti con l’invidia, Ciro Marino con la lussuria peggiore. Angelo Petrella si confronta invece con l’accidia e, per fare meno fatica, lascia che parli anche il proprio cane. L’ira spetta a Riccardo Brun mentre Maurizio de Giovanni, alle prese con l’avarizia, risparmia tutto ma non se stesso. Luca Maiolino, l’esordiente lanciato nella mischia, ci racconta la gola ingozzandoci con la sua storia amara e Peppe Lanzetta, forse il più tagliente fra questi sette samurai campani, ci regala una pillola di superbia giovanile purtroppo sempre attuale.

Davvero un peccato che, al posto dei sette vizi, i coraggiosi curatori non abbiano scelto i dieci peccati: così fosse stato, anche altre importanti biro partenopee – come quelle di Ugo Mazzotta o Diana Lama – avrebbero potuto spargere la propria scia di parole noir. A tutto beneficio della raccolta e, soprattutto, dei lettori.

Recensione pubblicata sul numero 1 di MilanoNera

paolo franchini

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