Vorrei iniziare questa intervista dicendo che, a prescindere dalla variegata tavolozza cromatica che negli anni ha saputo dispensare ai suoi lettori, dal rosa al fucsia, dal giallo al noir, Chiara Moscardelli è prima di tutto un’autrice brillante, capace di affrontare con inalterata verve ogni registro narrativo. E, quel che più sorprende, nei romanzi con protagonista Teresa Papavero riesce anche a procurare non pochi brividi ai suoi lettori. In questo caso autrice oltretutto di un genere, quello del cosiddetto light crime, che più apparteniene alle corde anglosassoni e risulta ancora piuttosto originale nel panorama italiano. Teresa Papavero infatti, pur nella sua unicità, mostra lati affini ad Agatha Raisin della Beaton o alla stessa Jessica Fletcher, che Moscardelli ha più volte dichiarato di amare alla follia.
L’eroina “buffa”, seppure dotata di infallibile e perseverante intuito, di Chiara Moscardelli deve più alle somiglianze caratteriali con la sua autrice o alla passione per l’inossidabile Jessica?
Grazie mille per la bella introduzione. Mi piace molto la definizione di light crime. Diciamo che Teresa Papavero nasce dall’unione di entrambe le cose. Sicuramente Teresa mi assomiglia, purtroppo non per la quantità di uomini da cui è corteggiata, ma piuttosto per la sua goffaggine e insicurezza. Anche l’aspetto ironico è tutto della Moscardelli! Mentre l’ambientazione a Strangolagalli e i personaggi devono tutto a Cabot Cove e alla mia adorata Jessica Fletcher.
Teresa Papavero, protagonista della trilogia crime – che, spero ancora per poco, è una dilogia -, è una quarantenne single, figlia di un noto criminologo, che si stabilisce a Strangolagalli, un piccolo borgo in provincia di Frosinone in cui non succede mai nulla. Fino al suo arrivo, però. Nel primo romanzo della serie (Teresa Papavero e la maledizione di Strangolagalli, Giunti, 2018), infatti, aveva conosciuto Paolo su un social di incontri, Tinder, ma la storia era sfociata in un epilogo tragicomico: mentre lei era in bagno per un attacco di dissenteria (!), Paolo si era gettato (?) dal terrazzo. Nel secondo capitolo (Teresa Papavero e lo scheletro nell’intercapedine, Giunti, 2020), la incontriamo in fremente attesa di inaugurare il B&B “Le combattenti” nella sua versione ampliata, aperto proprio a Strangolagalli con l’amica Luigia Capperi. Martello alla mano per dare il colpo di grazie a un muro, si accorge che l’intercapedine custodisce un inquietante segreto, uno scheletro femminile.
Eroina atipica, imbranata, nemmeno una bellezza, sempre in bilico tra insicurezza e bisogno di veder riconosciuto il suo valore, mi sembra però che Teresa, abbia compiuto passi avanti sulla strada della consapevolezza. Vero?
Assolutamente. Teresa compie un percorso personale. Un percorso che la porta ad acquisire sicurezza in se stessa. Tutte le mie protagoniste partono da una fragilità legata alla loro infanzia. Un blocco emotivo che si portano dietro in età adulta. Noi siamo il risultato della nostra infanzia e adolescenza. Sta a noi impegnarci per superare quei blocchi e andare avanti più coraggiose che mai. Teresa ce la fa.
Teresa in realtà è un’eroina modernissima, che soffre per il delicato rapporto con un padre criminologo, celebre e ingombrante, e per l’abbandono della madre. Cresciuta in un ambiente di affetti incerti, forse non riesce a trovare il proprio equilibrio in una relazione sentimentale.
Genitori castranti, universo maschile cristallizzato in una dimensione di “fanciullezza per sempre”, penalizzazione della figura femminile nella corsa di un aspetto eternamente giovane, quanto pesa questa nostra attualità nel mondo di Teresa Papavero?
Moltissimo. Il rapporto che abbiamo, o non abbiamo, durante l’infanzia e l’adolescenza con una figura genitoriale, madre o padre che sia, incide profondamente sulla donna che diventiamo. Le nostre insicurezza si formano e si cimentano in quel periodo. Un equilibrato rapporto con i genitori è fondamentale. Teresa non ce l’ha. La madre scompare in circostanze misteriose quando lei ha dodici anni e resta con un padre egocentrico e narciso che poco si occupa di lei. Difficile che Teresa possa diventare una donna sicura di sé.
A partire dal padre, l’esimio criminologo Giovan Battista Papavero, tronfio quanto il suo nome e svanito altrettanto, fino ai suoi due potenziali “amori” – l’agente speciale Leonardo Serra, di sagace istinto professionale ma quanto mai evanescente nel privato, e l’anatomopatologo Maurizio Tancredi che potrebbe essere “quello giusto, ma…” -, passando attraverso la fauna virile di Strangolagalli – il macellaio Floriano Barbarossa dai forti appetiti sessuali; il maresciallo Nicola Lamonica tutt’altro che sveglio; il sindaco che di cognome fa Vecchietta – nemmeno in questa seconda indagine, Teresa pare essersi riconciliata con “l’eterno mascolino”.
Nel terzo romanzo che chiuderà la trilogia, Teresa riuscirà ad acquistare fiducia negli uomini?
Certamente sì. Il rapporto con il maschio è tutto legato al rapporto che abbiamo con noi stesse. Risolvendo quello, Teresa capirà che uomo vuole nella vita. O potrebbe anche decidere che sta bene da sola. Chi può dirlo?
L’ambientazione è un punto forte della dilogia: Strangolagalli, una Cabot Cove nostrana, è un piccolo borgo medievale di 3.000 anime che realmente esiste in provincia di Frosinone, in cui non è difficile immaginare una vita raccolta dove tutti conoscono tutti. Rappresenta il lato rosa del romanzo, il luogo dove Teresa ha trovato rifugio e apprezzamento. Ma nel secondo romanzo esiste anche Aguscello, il vecchio manicomio criminale per bambini e adolescenti, dove si concentrano gli aspetti più dark della vicenda, il cuore del mistero
Mi pare che questi due poli rappresentino le due anime del romanzo, la trascinante leggerezza e l’ombra più angosciante, e la duttilità dell’autrice nel passare in continuo da un registro all’altro. Vero?
Giusto. Due anime, due aspetti della stessa medaglia. La leggerezza, il luogo del cuore, le persone che la circondano, fanno tutti parte del lato rosa. Il serial killer un po’ meno… Il serial killer e il manicomio di Agusciello fanno parte del lato oscuro. Mi piace mescolare le carte.
Lasciamo Teresa Papavero e incontriamo l’ultima eroina in rosa, anzi in fucsia, di Chiara Moscardelli: Dafne Amoroso, nomen omen, protagonista di Extravergine. Vergine si nasce o si diventa?(Solferino, 2019) A quasi trent’anni, Dafne è ancora vergine, condizione inammissibile alla sua età e in questa società. Si è trasferita a Milano dalla Puglia, ma nulla per lei è cambiato. Ed è sicura che nemmeno cambierà in Azerbaijan, dove si reca per un seminario sulla letteratura Regency. E, invece, quell’avventura esotica dà avvio a una serie rocambolesca di eventi che culminano nella sua imprevedibile assunzione in un webzine di moda, Audrey, oltretutto nel ruolo di sex columnist, e, come potrebbe essere altrimenti, in un incontro con l’uomo del destino.
Mi pare che Dafne, come Teresa, soffra di un “vuoto genitoriale“, seppure a ruoli scambiati: nel suo caso, a essere assente è il padre che non ha mai conosciuto, mentre la madre, ex attrice di film pornosoft, nudista e molto “libera”, è presenza non solo ingombrante perché nemica acerrima della sua verginità, ma anche imbarazzante.
Ennesima dimostrazione di come si possa utilizzare il registro rosa per parlare di psicologia degli affetti…
Sì. Diciamo che però quel personaggio non è mio. E’ degli sceneggiatori della Fox che hanno realizzato la serie. Io mi sono accodata e ho scritto il prequel. Però è vero. Come si diceva, tutto dipende dal rapporto con i genitori. Quell’assenza di affetto, a volte, o di equilibrio che poi è difficile da colmare.
Dafne, ancora come Teresa, ha paura dell’amore reale e delle sue naturali conseguenze. Per questo si rifugia nella letteratura Regency, in cui il sentimento autentico è sempre ricambiato e non può che trionfare, pronta a credere che i suoi incontri si trasformeranno in altrettanti Jasper Demerel o Julian Worth, protagonisti di indimenticabili romanzi di Georgette Heyer.
Il sempre vivo successo della narrativa rosa è da ricercare nella delusione della vita reale e nell’aspirazione a uno spazio seppure illusorio di felicità?
Un po’ entrambe le cose, credo. Dafne si rifugia lì perché in questo modo non può avere delusioni. Vive la vita di qualcun altro e lei non può esserne scalfita. Se non rischi, non puoi bruciarti. Quindi lei fugge dalle bruciature. E poi, certo, quei romanzi sono anche uno spazio illusorio di felicità dove il lieto fine è assicurato. Nella vita, purtroppo, il lieto fine non c’è quasi mai!
Extravergine rappresenta un caso del tutto originale nel rapporto tra parola e immagine: il romanzo di Chiara Moscardelli è uscito in contemporanea con la messa in onda dell’omonima fiction su Foxlife, come prequel delle vicende narrate dalla fiction e su espresso invito della produzione, per dar conto al pubblico di chi era Dafne prima di insediarsi nella sua nuova vita alla rivista Audrey.
Che esperienza è stata? Più spesso, accade che siano gli sceneggiatori a dover trasporre un romanzo in scrittura cinematografica. Qui, immagino, è accaduto il contrario…
Esperienza bellissima e parecchio strana. Mi sono ritrovata a maneggiare materiale non mio e quindi avevo poco margine di manovra. Nel prequel non potevano certo esserci personaggi che poi non apparivano nella serie. Dafne non poteva fare l’amore perché nella serie lei è vergine. Insomma, molto difficile ma anche motlo stimolante. E poi non mi era mai capitato di vedere girare una serie tv e di entrare in quel mondo. Sono stati tutti gentilissimi e accoglienti. Bellissima esperienza .
Ringrazio Chiara Moscardelli per il tempo che ha dedicato a MilanoNera e alla sottoscritta, ma la ringrazio soprattutto perché incontrarla è stato come veder prendere vita le sue eroine. Il lettore, si sa, cerca sempre l’autore nel personaggio, io ho avuto la fortuna di trovarlo.
CHIARA MOSCARDELLI, romana ma milanese d’adozione da quasi vent’anni, ha ricoperto il ruolo di ufficio stampa, prima per Fanucci, poi per Garzanti nell’ambito del gruppo Gems. Dal 2018 è responsabile editoriale della sezione narrativa di Solferino Editore. In qualità di autrice, esordisce con Volevo essere una gatta morta pubblicato nel 2011 da Einaudi ,con grande successo di pubblico e critica, e ripubblicato da Giunti nel 2016. A quel primo successo, hanno fatto seguito i romanzi di genere brillante: La vita non è un film (Einaudi, 2013), Quando meno te lo aspetti (Giunti, 2015), Volevo solo andare a letto presto (Giunti, 2016), Volevo essere una vedova (Einaudi, 2019) ed Extravergine (Solferino, 2019). Nel 2018 ha inaugurato la trilogia giallo-comica con protagonista l’irresistibile Teresa Papavero: Teresa Papavero e la maledizione di Strangolagalli (Giunti, 2018) e Teresa Papavero e lo scheletro nell’intercapedine (Giunti, 2020).
MilanoNera ringrazia Chiara Moscardelli per la disponibilità.
Chiara Moscardelli sarà ospite di Non solo Giallo di sera a Ortona, il festival letterario con la direzione di Romano De Marco che si svolgerà in presenza a Ortona (Ch) dal 3 all’11 luglio.
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