Storia di un giudice. Nel far west della ‘ndrangheta



francesco cascini
Storia di un giudice. Nel far west della ‘ndrangheta
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Si legge tutto d’un fiato il romanzo autobiografico di Francesco Cascini, magistrato a Locri dal 1996 al 2001, perché il tema è uno di quelli che toccano tremendamente l’attualità; si parla infatti di ‘ndrangheta ma soprattutto del rapporto che quotidianamente i magistrati hanno con territori a rischio criminalità organizzata. 

Ad appena ventisei anni, il giudice ragazzino, fresco di nomina, viene spedito presso la procura di Locri, quella che di solito è all’ultimo posto in graduatoria e che nessuno vuole scegliere, ed è proprio qui che il giovane magistrato si trova ad affrontare per la prima volta gli affari delle ‘ndrine (famiglie appartenenti all’organizzazione), le faide tra i clan rivali e soprattutto lo stato di omertà dei cittadini. 

In questo territorio prospera e si alimenta il potere della ‘ndrangheta grazie al regime di terrore e di paura, alle sparatorie in pieno centro sotto gli occhi di tutti, e soprattutto grazie al fatto che chi non se ne va non ha futuro se non quello di essere in qualche modo colluso con gli affari della criminalità organizzata.

Giunto in città il giovane giudice si prende un caffè al bar del centro scoprendo poi che si tratta di un locale in mano ad una cosca; tutti lo sanno ma nessuno dice nulla. E questa è la prima regola del far west

Una realtà dura quella calabrese ed in particolar modo di quel territorio passato alle cronache per i sequestri di persona nella zona dell’Aspromonte.

Poi d’un tratto qualcosa cambia: ce lo racconta in modo asciutto il pm Cascini, che spiega come proprio negli anni Novanta i sequestri cessarono e si puntò sempre di più sul mercato della droga, sull’edilizia; le famiglie spostavano al Nord i loro traffici e si infiltravano nell’economia e nella gestione degli appalti, anche se il cuore nevralgico restava pur sempre la Calabria. 

Il magistrato si trova a dover affrontare una guerra quotidiana, in un luogo che sembra dimenticato dallo Stato; memorabile è il racconto del capodanno a San Luca, dove le forze dell’ordine sono costrette a chiudersi in caserma per i festeggiamenti, mentre fuori si spara con fucili e artiglieria pesante contro la caserma, il municipio e ogni luogo pubblico, quasi a voler dimostrare l’onnipotenza di una forza che non teme nessuno Stato e nessuna legge.

La realtà di una procura difficile inoltre è fatta di penuria di mezzi, di forte turnover, di magistrati e carabinieri che chiedono continuamente di essere trasferiti; in questo modo le indagini non proseguono e molti procedimenti vengono archiviati perché mancano le prove e non si riescono ad ottenere mezzi e uomini per portare avanti le indagini. 

Il racconto di formazione del giudice è anche il racconto sui problemi della giustizia italiana, sul perché non si faccia nulla per migliorare la situazione.

Perché , ad esempio, si chiede il magistrato, il miglior corpo di investigazione scientifica si trova a Parma (il noto Ris), dove il numero di delitti è limitato e non vi è nulla di tutto ciò in zone dove ogni anno vengono realizzate delle vere e proprie carneficine? Come mai se muore qualcuno a Locri se ne parla appena e quasi sempre solo sulle cronache locali? 

Certo è che se ancora sappiamo poco della mafia e della camorra, della ‘ndrangheta si sa molto meno, quasi fosse un fenomeno circoscritto quando invece le sue ramificazioni ormai hanno valicato i confini italiani e gestiscono quantità ingenti di denaro.

arianna cameli

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