In libreria con Se esiste un perdono, Longanesi, Fabiano Massimi ha gentilmente accettato di rispondere a qualche nostra domanda.
Ci racconti come sei venuto a conoscenza della storia di Nicholas Winton?
Durante il Grande Lockdown del 2020, un amico che aveva letto e apprezzato L’angelo di Monaco mi girò un video della BBC in cui Winton veniva presentato al mondo per la prima volta dopo 50 anni dai fatti. Un raggio di luce in un momento cupissimo, che mi spinse a cercare tutto quello che esisteva sulla storia – sorprendentemente poco – e poi a pensare di raccontarlo in un romanzo.
Nicholas però non era il primo e non è stato l’ultimo a darsi da fare per i bambini. Sono questi gli eroi veri?
Non si può sminuire ciò che Winton ottenne nelle sue settimane a Praga – gli otto treni che portavano il suo nome salvarono 669 bambini, per la maggior parte ebrei, dalle grinfie di Hitler –, ma sì, non fu solo nella sua impresa, e questa è stata la prima, grande sorpresa quando ho iniziato le mie ricerche. Doreen Warriner e Trevor Chadwick rimasero a Praga più a lungo di lui, ed ebbero meriti che sono stati totalmente dimenticati. Per questo in Se esiste un perdono sono protagonisti a pari titolo con Nicholas. Tempo di restituirli alla luce.
Petra Linhart è una delle narratrici della storia, perché hai scelto di farne raccontare una parte a lei?
Petra è una giovane donna cecoslovacca che, quando Hitler invade la Cecoslovacchia, perde tutto quanto ha di più caro. Per questo si unisce alla resistenza antinazista e finisce a lavorare per Doreen, Nicholas e Trevor, diventando la testimone privilegiata della loro impresa. Un personaggio del genere, cui è affidata la narrazione dall’inizio alla fine, era necessario sia tecnicamente sia moralmente, perché io sono un autore italiano che racconta di tre britannici che salvarono 669 bambini boemi. È vero che sono storie universali, ma il rischio di “appropriazione” esiste sempre. Dar voce al popolo cecoslovacco mi sembrava doveroso.
Con il prologo, dove i nazisti cercano una bambina a bordo di uno dei treni che stanno lasciando Praga, ci porti, anche se lo scopriremo dopo, alla fine della storia. Perché questo inizio?
Per non dimenticare di cosa parla, nel suo cuore, il romanzo: di bambini in pericolo, e di una donna che testimonia la loro vicenda rischiando sulla propria pelle. Mettere subito l’attenzione su Petra e sui treni è importante per legare insieme tutte le parti del romanzo, che è molto scandito e corre a rotta di colla verso il finale, ma anche per dire subito al lettore: di questo stiamo parlando. Di una tragedia immane che non sappiamo se andrà a finire bene. La tensione è fondamentale per rievocare l’emozione di chi, al tempo, visse il pericolo in prima persona.
La storia della salvezza di questi bambini è però è costruita sul dolore delle famiglie, perché salvare i propri figli vuol dire separarli da loro e non vederli mai più. Tu descrivi questo atroce dramma in fondo in poche righe, senza indugiare , ma riuscendo a rendere perfettamente il dolore e la disperazione di quei momenti…
Spero sia davvero così, e ti ringrazio per le belle parole. Il dolore della separazione è ciò che più mi resta di questo romanzo. Se andate a Praga, alla stazione centrale, nel sottopasso che porta ai binari troverete un monumento straziante: la porta di un vagone ferroviario sul cui vetro sono incise le impronte di mani adulte (i genitori) e mani bambine (i loro figli). È stato dedicato dai «bambini di Winton», come si chiamano tra loro i sopravvissuti, ai propri genitori, i veri eroi di questa vicenda terribile. Da padre, non so proprio se avrei avuto la forza di fare quello che hanno fatto loro. Proprio non lo so.
In un clima così tragico e doloroso il personaggio della Bambina del sale che appare ogni notte indossando una mantella bianca per poi sparire all’alba, ha la luce di una fiaba, la speranza di un lieto fine e un’ aurea di magia. Chi è la bambina del sale e che ruolo ha la fiaba in questa storia? E’ il simbolo di tutti i bambini che devono essere salvati? Paradossalmente lei però è l’unica che non vuole essere salvata.
Praga è una città magica, ricca di prodigi, e in una storia che parla di orchi e bambini in pericolo non poteva mancare un aspetto fiabesco, ma credimi: non ce l’ho messo apposta. Non ne sarei stato capace. La Bambina del Sale si è fatta avanti di sua iniziativa, presentandosi a Petra in una sera nebbiosa, tra i vicoli della Città Vecchia. Come è entrata nella scena, si è presa tutta la luce. In effetti, a ben pensarci, è lei la luce. La speranza nella disperazione.
Descrivi Praga, città magica, in modo molto preciso e accurato e la città con le sue atmosfere gioca un ruolo fondamentale nel libro.
Sì, be’, io amo scherzare sul fatto che quando scrivo thriller storici ambientati in un luogo preciso punto alle chiavi della città… Ma in effetti, Monaco, Berlino e ora Praga non sono solo fondali, sono personaggi, e dirò di più: sono coprotagonisti della storia. Le descrizioni minute non sono lì solo per bellezza – anche se la bellezza è innegabile, e va celebrata. Servono soprattutto a ricordarci che tutto questo è accaduto davvero, e che se andrete a Praga potrete ripercorrere i passi di Doreen, Nicholas e Trevor, e magari, chissà, in una notte buia e nebbiosa incontrare in qualche vicolo la Bambina del Sale…
In tutti i tuoi libri, anche in quelli più “leggeri” degli Ammutinati, ami giocare con le parole, rimandi , anagrammi, suggestioni che semini tra le righe…
È un vizio, o un vezzo, cui rinuncio a fatica, e perché dovrei, poi? Bergonzoni mi ha travolto adolescente, e le parole per me non sono solo strumenti, sono esseri viventi dotati di volontà propria. Ogni tanto trovo sano, e illuminante, lasciarle libere nella pagina. Lo faccio però più nei romanzi italiani che in quelli storici, anche perché il respiro internazionale di un libro come Se esiste un perdono, nonché la sua densità emotiva, necessitano un’altra sobrietà. Di certo sulle frasi passo un bel po’ di tempo, aiutato anche dai miei editor, che saluto e ringrazio per l’acume e la pazienza infiniti: Fabrizio Cocco, Antonio Moro, Jessica Tini.
Quanto è difficile descrivere dei personaggi che sono o sono state persone vere?
In realtà, in senso stretto, è più facile che descrivere personaggi inventati: so già in partenza diverse cose (in certi casi, come per Hitler, moltissime) su come pensavano, parlavano, agivano. Di un personaggio inventato so infinitamente meno, a ben vedere, e tutto ciò che tiro fuori è soggetto a revisione poetica. Ciò che ha fatto potrebbe non averlo fatto, se mi torna utile ai fini della trama. Posso cambiarlo. Con chi è davvero vissuto invece no. La difficoltà nel mettere in scena un Nicholas Winton, di fatto, è soprattutto morale: cosa posso fargli dire e fare che non sia attestato da qualche fonte? Ed è lecito? E fino a che limite? Sembra una cosa piccola ma non lo è: questi non sono personaggi, sono persone. Richiamarle dall’Ade comporta cautela, e il massimo del rispetto.
Scoprire, illuminare, diffondere, celebrare, è questo in fondo il senso della letteratura, scrivi nei commenti finali, quanto la narrativa può far bene alla Storia e in questo caso alla Memoria?
Oh, io credo che solo le storie possano riportare in vita la Storia, e che nulla giovi alla Memoria come ricreare eventi e resuscitare protagonisti in forma narrativa. È questione di come siamo fatti noi esseri umani: in tutte le culture, dall’alba dei tempi, ciò che amiamo sopra ogni altra cosa è raccontare e ascoltare vicende altrui. Che sia gossip, cronaca, favola o storiografia, niente ci è più caro e incide più in profondità nei nostri cuori e nei nostri cervelli che la narrazione delle imprese di altre donne e altri uomini. Vite che non sono la nostra, come dice il caro Carrère. Un buon romanzo è uno specchio di chi siamo e un memento di chi potremmo diventare – nel caso di Se esiste un perdono, donne e uomini coraggiosi che quando il pericolo diventa serio non esitano a mettersi in gioco per fare ciò che è giusto, senza compromessi. Gli scrittori, alla fine, prendono il meglio di ciò che è esistito e lo trasformano in oggetti memorabili. Arte.
I corsivi che troviamo all’ inizio delle parti che compongono il libro sono tratti da un libro scritto da uno dei bimbi che presero quei treni e la stessa Doreen h scritto un libro che è presente nella tua bibliografia. E come sempre nei tuoi libri la ricostruzione storica è accurata, perfettamente inserita nella trama. Quanto tempo ci vuole documentarsi per un libro come questo?
Di solito raccolgo materiali per qualche mese, poi quando ho tutto o quasi ciò che esiste sull’argomento parto a leggere, e dopo poco a scrivere. Il processo di ricerca si svolge in gran parte mentre compongo, perché riesco a suddividerlo secondo la progressione della storia, che nei miei romanzi è sempre cronologica in avanti. Se esiste un perdono non ha fatto eccezione a questo metodo, ha solo richiesto più tempo perché i materiali erano meno abbondanti. Sembra paradossale, ma è più impegnativo essere fedeli alle fonti quando sono striminzite: devi inventare più dettagli, per cui ti senti più incauto e finisci per avanzare meno velocemente.
Se esiste un perdono… mi finisci la frase?
Se esiste un perdono, è un dono per noi stessi. Perdonare sempre. Salvare tutti.
MilanoNera ringrazia Fabiano Massimi per la disponibilità
Foto di @Michele Corleone