Sangue marcio – Antonio Manzini



Antonio Manzini
Sangue marcio
Piemme
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“Sangue marcio” è il libro di esordio di uno dei più amati scrittori italiani degli ultimi decenni: Antonio Manzini. Lui in primis, all’inizio, non aveva dato molto credito a questo suo manoscritto, ma l’amico Niccolò Ammaniti, altro stimatissimo autore italiano, un giorno lo fece avere a Martina Donati chiedendole di leggerlo, “è forte, l’ha scritto Manzini”. È quasi per un caso fortuito (ma forse no), che questo piccolo capolavoro noir capitò nelle giuste mani e fu apprezzato e definito come “una storia che non faceva sconti, ma nemmeno prediche, un esordio vero, potente.” 

Non si può che essere d’accordo con le parole della Donati, che potete leggere nel ricordo alla fine del romanzo. Inoltre, “Sangue marcio” si apre con una interessante e divertente prefazione dell’autore in cui, a distanza di vent’anni, ci racconta come ha preso vita il suo primo libro. Per leggerlo, mettete in pausa solo per un po’ Rocco Schiavone ed immergetevi in questa storia che già dalle prime pagine si presenterà oscura e appassionante. 

“Ero un bambino felice. Facevo le cose che fanno tutti i bambini felici. Questo fino al 12 ottobre 1976.”

Chi parla è Pietro Sini, il protagonista di questa storia che, insieme al fratello Massimo e davanti a sua madre e a Rosolina, la donna di casa, quel giorno vede suo padre portato via dagli agenti di Polizia, arrestato di punto in bianco e senza fare più ritorno a casa. La vita da quel giorno in poi cambia per tutti: la madre scarica tutta la sua frustrazione nell’alcol e l’esistenza dei due fratelli prende bruscamente una curva discendente. Pietro rimbalza da Torino, dove cresce in riformatorio con tutte le conseguenze del caso, passando per Roma, dove diventa giornalista per una famosa testata, per poi tornare a L’Aquila a lavorare per il quotidiano Il Centro. Qui ritrova suo fratello che è diventato commissario di Polizia ed è alle prese con la caccia ad un serial killer che sta terrorizzando la città. La distanza tra i due però non ha minimamente scalfito il loro rapporto. 

“È sempre stato così fra loro. Se si guardano, provano quello che sente l’altro. Neanche fossero due gemelli. Sono legati come due molecole, indivisibili come particelle di un atomo.”

Antonio Manzini agli esordi è già una ottima penna. Il suo stile di scrittura ci coinvolge sin dall’inizio, ci offre qui una storia torbida ci si può immedesimare, facendo in modo che il lettore si ponga inevitabilmente delle domande. Se nella mia famiglia fosse successo tutto questo, come avrei reagito? Che persona sarei diventato? La trama di “Sangue marcio” passa dall’esplorazione del percorso di crescita dei due fratelli al racconto di come, nel presente, i due si interfacciano attraverso gli omicidi di un serial killer che non lascia nessuna traccia di sé. Anche l’analisi dei ricordi di quando Pietro e Massimo erano bambini portano inevitabilmente il lettore a fare un salto indietro nel passato, rivivendo quella quotidianità che tutti noi guardiamo spesso con una certa malinconia. 

“La pista con le biglie sulla spiaggia. Si prende uno, lo si trascina col sedere per terra e si traccia il percorso. […] Quando la pista è finita, ognuno si schiera sulla partenza con la propria pallina di plastica. Dentro c’era la foto ritagliata dei veri corridori del Giro. Io avevo sempre Gimondi, il campione! Papà ci guardava giocare.”

L’autore si proponeva al pubblico già nel 2005 con uno stile di scrittura decisamente efficace, mai artificioso e privo di quelle infiorettature che spesso servono solo ad allungare un brodo di parole improduttive. Le descrizioni delle scene, anche quelle arricchite da contorni erotici, sono essenziali e realistiche, proposte senza l’utilizzo di mezzi termini.

La caratterizzazione dei protagonisti principali è curata alla perfezione, l’autore ha creato due soggetti che, seppur uniti nel profondo, sono molto differenti tra loro. Pietro è l’occhio con cui noi siamo spettatori di questa storiaccia, un bambino che è diventato un adulto freddo e che nel profondo nasconde il desiderio di fare qualcosa di giusto per salvare se stesso da una situazione più grande di lui che l’ha fagocitato e risputato fuori colmo di rabbia e tristezza. 

Dall’altra parte troviamo Massimo che, quando da piccolo era infuriato, intimava al fratello di andarsi “a nascondere in Tibet” per non subire la sua ira e che da grande, invece, è diventato un uomo grigio e frustrato per non essere ancora riuscito a concludere qualcosa di buono nel suo lavoro. È una figura che tiene tutto dentro, che non sfoga e che rischia di mandare all’aria il suo matrimonio. Sono due modi diversi di manifestare tutto il disagio per aver assistito alle vicissitudini di una famiglia che si è rotta in mille pezzi, entrambi attraversando un dolore immenso a causa della devastazione delle loro vite.

“I personaggi – Pietro e Massimo – dolorosamente veri”, come nel modo migliore li definisce Martina Donati.

Non si può far altro che ringraziare Antonio Manzini per aver scritto “Sangue marcio”, un noir d’esordio di tutto rispetto che tratta sì la storia di un serial killer, ma in cui il chiaro intento è quello di far leva sull’emotività. È un romanzo breve ma intenso, che si legge col cuore in gola e che lascia un retrogusto amaro. Una piacevole scoperta da leggere tutta d’un fiato da chi ancora non ne aveva avuto il piacere, e una rilettura necessaria per chi già lo conosceva e desidera riassaporare, vent’anni dopo, l’inquietudine che solo un autore del calibro di Antonio Manzini può donarci col suo coinvolgente stile narrativo.

Erika Giliberto

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