Prendete un bar di Madrid, metteteci dentro una pupa con “più curve di una bottiglia di Coca Cola” e appiccicatele addosso lo sguardo di un cameriere con più sogni che mestiere. Aggiungete un portasigarette d’argento dimenticato o forse no, e un breve inseguimento senza esito che si scoprirà essere il primo di molti.
Basta questo per far decollare una storia? A Montero Glez, spagnolo classe 1965 molto apprezzato da Perez Reverte, basta eccome, e quando la pupa paga il caffé e si allontana, voi siete già suoi.
Voi e il cameriere, il quale si metterà all’inseguimento di quelle gambe lunghe e nere venendo ricambiato con montagne di guai. Si innamorerà, per così dire.
In un vicolo, fuori la porta di un bordello, inciamperà in un marocchino al quale hanno appena fatto la pelle e questi gli consegnerà, prima di tirare definitivamente le cuoia, un oggetto misterioso, un tesoro presumibilmente. O più precisamente la mappa di questo tesoro all’inseguimento del quale un bel giorno sbarca a Tarifa, la città dello Stretto di Gibilterra, del vento che scompiglia i pensieri e la verità ma non i miasmi dei suoi vicoli infetti.
Da bordello a bordello. Inseguito, lui e il suo tesoro, da un travestito e da un uomo con la faccia segnata da una cicatrice, assoldati dalla tenutaria rancida e corrosa di uno di questi, non importa quale, non importa che sia vero.
Perchè a raccontare la storia ma non solo – entrerà a farne parte – è la bocca guasta del Luisardo, uno dalle molte dipendenze, uno che ama raccontare ma che non tiene in gran conto la verità, e venderebbe la propria madre per un intreccio ben congegnato.
Per lui il cameriere è “il viaggiatore”, un uomo misterioso appena sbarcato a Tarifa che cammina lungo il molo con una bottiglietta d’acqua. Per il quale tiene in serbo il meglio – o il peggio – del proprio repertorio.
E’ alle sue cure che Montero Glez vi affida e pazienza se mentirà, nel frattempo avrete avuto sangue, e sesso e divertimento, dispensati con uno stile debordante e feroce, serrato come un inseguimento che si conclude in un vicolo e languido, a volte, come baci cremosi.
C’è molto altro naturalmente, e morti a volontà, ma quel che rimane una volta chiuso il libro, è la sensazione netta di essere stati trascinati nelle viscere purulente di qualche inferno poco distante e poi di esserne stati espulsi, la sensazione che esista una verità, in tutta quella menzogna, ma attenzione, non molta in fin dei conti, e nemmeno troppo importante, l’unica verità, come direbbe il Luisardo, è una bella storia, raccontata da un vero figlio di puttana.
Quando la notte obbliga
gabriele zauli