Pubblichiamo oggi l’introduzione che Luca Crovi ha scritto per l’ebook Il Saint Emilion del Colonnello” di Patrizia Debicke Van Der Noot che uscirà giovedì su tutti gli store online pubblicato da MilanoNera.
Per presentarvi il racconto “Il Saint Emilion del Colonnello” di Patrizia Debicke Van Der Noot che state per leggere vorrei partire da un piccolo aneddotto. Un piccolo ricordo familiare che riguarda la mia famiglia. Quand’ero bambino mia nonna mi raccontava spesso del giorno in cui i tedeschi arrivarono sull’appennino emiliano a Cola di Vetto. Si erano spinti fin lassù per cercare di stanare i partigiani che si trovavano su uno dei due costoni della montagna. Le stalle e i pollai del paese oltre che le dispense e le cantine furono letteralmente svuotati. I miei nonni, preavvisati qualche ora prima dell’arrivo dei soldati, riuscirono solo a seppellire un prosciutto due salami e delle forme di formaggio in fondo al campo della vecchia casa contadina in cui vivevano, proprio nell’angolo che confinava con lo scolo della conciumaia della stalla. Un posto che per l’enorme quantità di letame presente pensavano avrebbe allontanato la curiosità di chiunque. Eppure quelle vivande (qualche settimana dopo, passata la buriana dei tedeschi) non furono mai più ritrovate. Molto probabilmente vennero recuperate nottetempo da qualche vicino che era più alla fame dei miei nonni e che li aveva curati durante il veloce seppellimento.
I crucchi scesi in paese scelsero la Predella come postazione per la loro mitragliatrice proprio il giardino dei miei nonni dal quale potevano facilmente bersagliare la strada che portava alla chiesa. Qualcuno sosteneva che il buon Don Vasco (il parroco di Cola) spesso avesse nascosto in canonica paracadutisti inglesi e partigiani e quindi quella era considerata una strada da tenere assolutamente sott’occhio. Per evitare di dare confidenza al mio babbo, a mia nonna e a suo cugino che vivevano soli nella casa (il nonno prudentemente si era nascosto da giorni nel sottotetto della casa dello zio Bernardino) i tedeschi dormivano tutti insieme nella sala della casa adiacente alla strada e con vista sulla mitragliatrice in giardino. Dormivano a turni e per scaldarsi si sdraiavano uno sopra l’altro sul sofà. Mi sono sempre chiesto come facessero a starci tre tedeschi uno in fila all’altro sdraiati in pila sul sofà, ma mia nonna ha sempre sostenuto che così successe. Aggiungendo che quando dormivano erano anche parecchio rumorosi. E così avvenne che rimasero lì barricati nella nostra casa per una settimana. Svuotarono la cantina e poi da un giorno all’altro se ne andarono senza dire nulla… e mia nonna tirò un sospiro di sollievo quando finalmente potè riabbracciare il nonno riemerso dal sottotetto dello zio Bernardino. Ecco, leggendo il racconto che avete fra le mani di Patrizia Debicke Van der Noot che parla di una famiglia costretta a convivere forzatamente con i tedeschi nella propria casa (anzi sarebbe meglio dire una famiglia costretta dagli invasori a vivere in cantina) il mio immaginario mi ha richiamato subito in mente quell’episodio familiare e assieme ad esso le storie di tante altre persone che, durante la guerra, si sono trovare ad avere i tedeschi sotto il proprio tetto come ospiti inattesi. E mi è tornata anche in mente la descrizione affascinante che fa C.S. Lewis all’inizio delle sue “Cronache di Narnia” a proposito degli sfollati quattro fratelli Pevensie che rifugiatisi in una villa lontana dai bombardamenti di Londra cominciano a vivere avventure fantastiche. La casa di Montignano descritta nel racconto di patrizia Debicke Van Der Noot ha molto in comune con la villa dell’anziano professor Digory Kirke descritta da Lewis A mio padre i tedeschi sembrarono degli orchi delle favole che ruttavano e scoreggiavano tutto il tempo, ai Pevensie il forzato ritiro in villa permette l’accesso attraverso un armadio al magico mondo di Narnia, mentre la Louise Adrienne Gering, vedova Brandi, protagonista del racconto di Patrizia Debicke Van Der Noot invece impara a conoscere meglio se stessa e il luogo in cui vive con i suoi cari proprio dopo l’invasione attuata da Werner von Rauchem. Il colonnello tedesco, a capo del Kommandantur della Wermacht, decide di occupare quella villa di Montignano insediandovi il suo comando militare perchè quel luogo è di vitale importanza per lui e i suoi militari: “aveva mille risorse. Pollaio, conigliera, vitelli nelle stalle, una manna dal cielo per i tedeschi che uscivano da settimane di fame sotto Viterbo”. E soprattutto ha delle meravigliose cantine dove Louise Brandi, alsaziana di nascita, nasconde il segreto dei suoi vini e in particolare il Saint Emilion. Un nettare squisito per il quale il colonnello, da buon intenditore, potrebbe essere disposto a qualsiasi cosa. E così goccia dopo goccia la Debicke instilla nel lettore l’ipotesi che quel vino cambierà in qualche modo il destino dei protagonisti, un po’ come accade per il celeberrimo barile di Ammontillado tanto caro ad Edgar Allan Poe. Siete pronti per scoprire quale patto diabolico stabiliranno il colonnello e la vedova? Allora prendete in mano una candela e seguiteci nelle cantine buie di Montignano.