Talvolta l’estate è il periodo ottimale per recuperare sotto l’ombrellone le parole e le trame accumulatesi nei mesi sui nostri comodini impolverati.
Questo lavoro nato dalla penna di Livio Romano è un ottimo esempio di questa operazione estiva, fatta di territori assolati, di dialoghi brillanti, di denaro luccicante.
Decisamente troppa, di luce.
E quanto la luce è troppa, l’ombra è altrettanto lunga, cupa, oscura, famelica.
Nel plot narrativo si aggirano personaggi di rara contemporanea attualità, attraverso le loro relazioni, i loro scambi dialogici di raro pregio, ma soprattutto si muovono le ombre del potere che si annida molto bene tra le poche ombre che rimangono sotto il sole di mezzodì. E sono le ombre del malaffare, a cavallo tra pubblico e privato, tra una fascia tricolore stropicciata e una valigia piena di verdoni dal manico sudaticcio dalla calura di quel sud, che rimane osservatore silente.
Perché un domani quei soldi possono toccare anche a me, mica mi metto in mezzo agli affari degli altri, io.
Questo lo stigma di un Sud in cui un pantano feudale invischia il cammino di personaggi di rara bellezza e tridimensionalità.
Il grigio dell’affare che combatte con un pluricromatico pastiche umano, luminoso, gioioso e festante nel suo volere combattere il malaffare locale.
Un romanzo complesso e di inusitato spessore in cui l’editor letterario Livio Romano abbandona i suoi scrittori per prendere nuovamente la sua riconoscibile penna per regalarci il chiarore di personaggi sorridenti e luminosi.
Shiny happy people holding hands, direbbe qualcuno.