Non ti voglio vicino



barbara garlaschelli
Non ti voglio vicino
frassinelli
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Barbara Garlaschelli accenderà presto dibattiti in merito al genere del suo ultimo romanzo Non ti voglio vicino: romanzo storico con punte nere, saga familiare, narrativa epica ma, soprattutto, romanzo tout court.
Epicentro Milano, da qui si dipanano diverse storie calate nella Storia, quella grande, quella terribile che parte dallo scoppio della seconda guerra mondiale e vede più generazioni alle prese con la morte, con la povertà e la fame, poi coi grandi cambiamenti del dopoguerra e con sbarchi lunari, fino ad arrivare ai giorni nostri.

Narrativa epica, dicevo, anche perché compaiono eroi.
Sono quelli anonimi persi nei bombardamenti o risucchiati nella routine, uomini dediti al senso del dovere, che, come nel caso di Lorenzo, sanno amare una moglie oltre la disperazione e la devastazione che si compie al suo passaggio.
Poi ci sono gli antieroi, prima tra tutti è proprio Lena, dannata fin dall’infanzia e marchiata a fuoco dal sigillo del male. Bellissima di un’avvenenza non scontata, intelligente, selvatica, Lena ama la lettura e la solitudine, il guscio coriaceo che oppone al mondo risale a quando, lei appena nove anni, qualcuno di inimmaginabile le ruba molte cose, tra cui l’innocenza.
I furti appunto, le vite mancate, le possibilità in agonia alternano età fuggenti.

Adulti presi da vite troppo difficili e bambini toccanti protagonisti.
Lena da piccola coi suoi eccessi di aggressività, Prisca, Lorenzo e Pietro e la loro amicizia, meraviglioso lo spaccato in cui Alessandra, con la sua saggezza d’infanzia, spiega a una ragazza cieca cos’è la luce:
«Le stelle sono come piccoli buchi nel cielo da cui passa una luce forte.» le sta spiegando Alessandra.

Lavinia sa cos’è la luce.

«Come questi.» Alessandra le mette tra le mani un pezzo di stoffa in cui ha fatto dei piccoli fori. «Li senti?»

Lavinia sfiora la stoffa e annuisce.

«Aspetta…» Alessandra prende due sedie, le mette schienale contro schienale, a tre spanne di distanza l’una dall’altra e ci lega la stoffa a cui ha praticato i buchi. «Metti le mani qui», la invita, prendendole e posizionandogliele sotto la stoffa. «Palmi in su.»

Lavinia ubbidisce. Ha un’espressione incuriosita, ma non le viene neppure in mente di opporsi. Si fida di lei. Alessandra afferra una brocca d’acqua e la versa. L’acqua in parte è assorbita dalla stoffa, in parte finisce per terra e in parte passa attraverso i buchi.

«Senti?»

«Sì.»

«Ecco, fai conto che l’acqua è la luce. Uguale.»

Questa “scrittrice di pura razza” come l’ha definita Giuseppe Traina ne “L’Indice”, nata a Milano nel 1965, oggi residente a Piacenza, blogger impenitente ( http://barbara-garlaschelli.splinder.com) e curatrice di diverse antologie, è alla sua quarta pubblicazione con Frassinelli, dopo Nemiche (1998), Alice nell’ombra (2002), Sorelle (2004, Premio Scerbanenco) ed è tradotta in Francia, Spagna, Portogallo, Olanda, Serbia, Messico.
La sua bravura, oltre a un’architettura impeccabile, sta nel dilatare a dimensione corale quella che è l’esperienza individuale del singolo attraverso sapienti incroci di destini, incastri logistici, spazi disegnati per le vicende, momenti fugaci di poesia che piombano all’improvviso contro l’amaro della vita, addolcendo, almeno nella finzione narrativa, la durezza che la realtà non risparmia.
All’alchimia concorre quella sua maniera veloce e profonda di imprimere, come scolpita, una sensazione, un cielo nuvoloso, un avvenimento, una rabbia. La rabbia a volte sorda a volte sonora che è un po’ il leitmotiv delle due parti in cui è diviso l’intero romanzo.

Un rancore che ha sempre le sue ragioni.

«Perché noi siamo il risultato di ciò che è stato.»

E insieme anche di ciò che non è stato.

marilù oliva

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