Non sparare – Roberto Pegorini



Roberto Pegorini
Non sparare
I Dobloni
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Dopo il notevole successo di Lo hijab mancante, Roberto Pegorini mette in pausa l’ispettore Valerio Giusti e la sua squadra per dedicarsi a un argomento che fa parte delle ‘ferite’ dell’Italia repubblicana, vale a dire il terrorismo e le Brigate Rosse. 

Nel suo ultimo libro, Non sparare, che esce con la nuova e dinamica casa editrice IDobloni del Covo della Ladra, la celeberrima libreria milanese, Pegorini mette in scena la tragedia dei superstiti degli anni di piombo, l’ex brigatista Marco Polenghi, che ora lavora in una tipografia spostando bancali, e quello che un tempo è stato il suo avversario, il tenente Saverio Foschi, ormai in pensione e alcolizzato. Entrambi hanno sul corpo e nell’anima cicatrici che non sono mai guarite e con cui è difficile convivere. 

Un giorno Marco entra in contatto con un giovane che, insieme ad alcuni compagni, ha deciso di resuscitare le Brigate Rosse, con l’entusiasmo e l’incoscienza di chi è appena entrato nella vita. Da reduce di una guerra persa, Polenghi sente l’urgenza di dissuadere quelli che potrebbero essere suoi figli da un’impresa fallita in partenza, ma il passato è una condanna a cui è impossibili sfuggire.

Scrittore impegnato in intense tematiche civili, oltre che esperto e abile giallista, Pegorini non si limita a raccontare una storia piena di chiaroscuri ma ricostruisce un mondo che sembrava dimenticato, attraverso le lacerazioni dell’anima di preda e cacciatore, entrambi sconfitti in una guerra senza pietà. L’ex brigatista Polenghi, che ha ormai saldato il suo debito con la giustizia, e l’ex tenente Foschi, che non crede alla fine della guerra contro il terrorismo, sono il simbolo di quanta devastazione abbiano lasciato dietro di sé quegli anni di lotta. Molto azzeccata è l’idea di una rinascita dell’ideologia brigatista in questi anni in cui ogni ideologia sembra seppellita, mentre la giustizia sociale e un’equa distribuzione delle ricchezze si allontanano sempre più dal nostro orizzonte.

Lo sguardo amaro e disilluso di Marco riesce a impietosirsi di fronte all’autentica sete di riscatto e uguaglianza presente nei giovani impreparati e presuntuosi che lo chiamano col soprannome dei tempi di lotta, Nebbia, e lo ammirano, senza accorgersi di avere davanti uno sconfitto consapevole della vanità della sua battaglia e del dolore che essa ha prodotto. Pegorini ha saputo evitare, nelle sue pagine, ogni moralismo, mettendo in scena, come su un palcoscenico, una tragedia che sfiora toni epici, perché ritrae il fallimento non solo di uomini, ma anche di ideali. Di un’epoca intera.

La violenza, come riconosce lo stesso protagonista, non genera mai il bene, ma lascia dietro di sé una scia straziante di esistenze spezzate e di futuri troncati. All’autore il merito della nobile pietas con cui si conclude questo bel romanzo.

Donatella Brusati

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