“…Acre, provocatorio, incalzante e politicamente scorrettissimo, un libro che ha segnato una tappa fondamentale del noir.”
La quarta di copertina parla chiaro, questo romanzo di De Cataldo scritto prima dello straordinario successo editoriale e cinematografico di “Romanzo Criminale” è più che un felice esordio narrativo.
Roma è la protagonista occulta di questa storia, una città antropomorfa nella quale varie etnie razziali e morali affollano i rispettivi quartieri: zone di lusso ed esclusive e quartieri di confine tra Italia e il mondo “invasore” degli extracomunitari.
Il protagonista, l’avvocato Valentino Bruio, frequenta con malcelata diffidenza ambienti elitari e bar equivoci in periferia, senza eroismi; un perdente per scelta, un disadattato più che un dissidente.
L’originalità di questo personaggio sta proprio nel suo delinearsi come un “vinto” dalla sua inguaribile natura di sognatore, e dalla sua difficoltà ad accettare codici di comportamento universalmente accettati.
L’aspra critica alla società, l’indomabile spirito di affermazione della giustizia emerge dai fatti narrati e non per bocca del protagonista.
Il romanzo infatti si apre con un miserabile sottrarsi all’ennesimo sfigato di colore che bussa alla porta dello studio dello sfaticato e sfiduciato avvocato.
Valentino ha rogne grosse con l’ordine degli avvocati per aver attaccato frontalmente e senza creanza un barone del foro, egli minimizza l’ennesimo cliente fonte di guai, e si ritrova un cadavere sulla coscienza.
Si apre così una crisi esistenziale profonda, un senso di estraneità al suo vivere quotidiano che fa commettere a Valentino passi di grande coraggio e retromarce di scandaloso opportunismo quando sembra aprirsi nella trama uno scorcio di normalità per lui.
De Cataldo si diverte ad ossessionare il suo protagonista e lo fa perchè interpreta a menadito la grande lezione del noir: tastare il polso alla società attraverso storie verosimili, con parecchi appigli alla cronaca nera che invade i quotidiani, storie piccole e piuttosto insignificanti, soprattutto se le vittime non hanno nessun riconoscimento sociale, ovvero gli immigrati clandestini.
Niente serial killer efferati o delitti perfetti, faide tra “negri” all’apparenza, solo un poliziotto degenere non crede alla verità più comoda: Del Colle.
Si crea così una società con Valentino, un connubio per nulla tranquillo, anzi, segnato da vari confronti e battibecchi, la parte più socialmente impegnata del romanzo a mio vedere, quella dove i personaggi dichiarano apertamente la loro visione del mondo senza molti peli sulla lingua.
A far da contro altare a questo mondo di emarginati sognatori c’è una ricca e potente famiglia romana con mani in pasta un po’ ovunque.
De Cataldo sceglie di far interpretare la parte oscura di questo potere occulto ma efficacissimo al patriarca Noè, un altro grande personaggio, tratteggiato con monologhi interminabili ai quali Valentino assiste basito, non senza subirne il fascino malefico.
L’epilogo è spiazzante e amaro, e mette in luce altri gravi discriminazioni e traffici ai danni dei clandestini e degli stranieri in generale.
Un romanzo estremamente duro, sferzante, dal ritmo narrativo impossibile da interrompere.
Una cronaca spietata dei tic consueti della ricca borghesia italiana: l’assenza di scrupoli come arma di successo, il fine benefico che nasconde intrallazzi, collegamenti e collusioni malavitose mondiali.
Giovanna, l’unica protagonista femminile, anima inquieta in bilico tra la passione per Valentino e i doveri familiari, è la perfetta icona dell’atteggiamento della maggior parte dell’opinione pubblica, che vede gli scandali, le sopraffazioni, le vergogne di quest’Italia mercificata, cerca anche di ribellarsi, ma alla fine si adegua a chiudere gli occhi o ad osservare da lontano chi in maniera incosciente ed eroicamente rifiuta di “normalizzarsi”.
Una passione civile profonda, una lettura che denuncia, non lascia spazio a fraintendimenti di sorta De Cataldo, un suo inconfondibile marchio di “Stile”.