In questo libro ritroviamo il commissario Bordelli, da poco in pensione, che non riesce ad adattarsi alla nuova esistenza, che resta in servizio. Dopo una vita dedicata alle indagini e a tentare di raddrizzare il mondo, di fare giustizia a modo suo, Bordelli non può accontentarsi di un nuovo amore e delle passeggiate in campagna col cane, continua a sentirsi “sbirro” e freme dall’impazienza di affrontare nuovi casi.
Nell’insieme però i casi affrontati in questo romanzo e poi risolti con la solita creatività sono piuttosto semplici e il racconto risulta appesantito da storie che sembrano messe lì un po’ a caso, giusto per aggiungere qualcosa ad una trama di per sé poco complessa. Infatti In questo libro le storie non si contano: tutti ne raccontano, i commensali del commissario a tavola, lui alla fidanzata, la fidanzata a lui e così via. Se poi si aggiungono le varie digressioni e considerazioni sulla vita e sull’avanzare dell’età, che interrompono anch’esse la narrazione, l’impressione è di una sorta di “pot-pourri”.
Nonostante la maestria del Vichi, capace di rendere sempre gradevole il racconto e far amare i suoi personaggi, questa volta la tensione cala spesso e si scioglie in una calma inconsueta velata di tristezza.
Si tratta di un romanzo diverso, meno “giallo” e più “filosofico”.