Ma insomma, diciamolo.
Cerchiamo di avere il dannato coraggio di affermarlo senza giri di parole.
“Martini shot” non è un titolo, ma IL TITOLO per un raccolta di otto colpi di pistola narrativi: breve, perfetto nella sua rappresentazione di quei piccoli sorsi di bellezza lessicale ai quali Pelecanos ci ha abituato.
Contrariamente al sapore vellutato del vermouth creato a Torino da Luigi Rossi richiamato nel titolo, i racconti di Washington retrogustano di amaro, di aspro, come una sigaretta nazionale che ci rinsecchisce la gola già alla prima boccata.
Eh si, perché l’Autore ama celare ombre e oscurità dietro ad una facciata luminosa, a tratti hollywoodiana, dei suoi personaggi, affondando le mani in quegli strati sociali più difficili e problematici, ai quali riesce ad attingere con abile capacità, così come nel mondo carcerario precedentemente dipinto in “L’uomo che amava i libri”.
L’empatica narrazione di Pelecanos è il suo punto di forza, perché consente all’Autore di passare dalla affabilità della luce hollywoodiana alla partecipe complicità nei confronti dei personaggi più difficili e delicati nella loro estrema umanità, complice la peculiare e secca traduzione di Giovanni Zucca, del tutto antitetica ai lemmi lirici ai quali ci ha abituati nel tradurre il Tintin di Hergé.
Società Editrice Milanese propone un volume di rara bellezza, che occhieggia dagli scaffali con un’immagine retrò che guarda alle atmosfere pulp della miglior Sin City di Frank Miller.
Ma prima di principiare la lettura, e dopo aver lasciato il soggiorno in penombra, mettete su “Low man’s Lyric” dei Metallica.
Martini Shot e altri racconti – George Pelecanos
Giuseppe Calogiuri