A Pirocha, come in tutta l’isola di Degnasàr e come nell’intero pianeta, non piove più da molti mesi. I pozzi gorgogliano ultimi lamenti, i fiumi espongono scheletri di sassi bianchi, i mari iniziano ad evaporare. In questo mondo riarso la vita resta sospesa sotto un sole implacabile. Persino Filò, prostituta-intellettuale di Pirocha, che su questo Dio distratto e sordo alle suppliche ha maturato una teoria tutta sua, resta senza lavoro. Poi, un giorno, la pioggia spezza la maledizione. Un’euforia matta prende tutti, restituiti alla vita. Però è un preludio di diluvio: peggio dello scampato deserto. Cinque donne, le prescelte visitate dal colombaccio messaggero, Filò in testa, attraverseranno lo sconquasso, temendo l’ultimo inverno del mondo, per trovare rifugio nel monastero cistercense di Taladdari, abbandonato e solitario sulla montagna, ma già covo di banditi sanguinari. Attenderanno una primavera che fiorisca dal fango, e sarà forse un’altra infanzia del mondo. Con un problema: la procreazione della specie, e chissà se a valle non si trovi una possibilità: un Adamo sopravvissuto al cataclisma.
La storia di un mondo disperato in cui il rimedio è peggio del male e a cui non si può sopravvivere. E’ un mondo triste e desolato quello che Niffoi ci presenta in quetso libro raccontando la vicenda attarverso le storie dei personaggi; un mondo in cui non ‘è nemmenola speranza finale come nel Deserto dei tartari di Buzzati in cui alla fine il nemico sembra arrivare. No, in questo libro muore anche la speranza.
Un libro scritto apposta per chi non vuole un racconto, ma vuole qualcosa che possa rappresentare la propria idea di mondo, ma che probabilmente non è il migliore di questo scrittore.