L’impronta della volpe



Moussa Konatè
L’impronta della volpe
del vecchio
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Bamako e Pigui. 2005. A quel tempo il Mali era un poco meno malato di guerra. L’onesto maturo Habib Kéita, commissario capo della squadra anticrimine, discende dalla stirpe dell’imperatore fondatore della grande etnia dei mandingo, ricchi importanti studi dai bianchi in Francia (e dai rossi a Bordeaux, ma in patria si è riconvertito all’acqua), ha una cheta discreta moglie tradizionale e tre cari giocosi figli (qui il maggiore è 18enne). L’erede prediletto è il giovane intrepido collaboratore ispettore Sosso Traoré. Li mandano a indagare su un lontano duello mortale e su altre strane morti. Fanno lezione di umiltà. Il grande 71enne maliano Moussa Konatè (“L’impronta della volpe”, Del Vecchio 2012, pag. 193 euro 13; orig. 2006, trad. Ondina Granato) continua benissimo a farci conoscere le Afriche. I Dogon sono una popolazione di circa 240.000 individui in villaggi di fango su una regione a sud del Niger, prevalentemente coltivatori di miglio, hanno una particolare abilità come fabbri e scultori, durante il XIV secolo si spostarono nella zona della falesia di Bandiagara. Originale arma dei delitti (contro un progetto di villaggio turistico).

valerio calzolaio

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