Attenzione: questo è un libro che scoperchia un vaso di Pandora dalle dimensioni internazionali.
Anzitutto va detto che la storia raccontata, seppur riadattata in forma di romanzo, è la testimonianza di un’avventura reale, che l’autore ha vissuto in Albania. Gli eventi descritti, gli usi, le tradizioni e lo sfondo sociale e territoriale raccontati, seppur sconvolgenti e incredibili, rappresentano la realtà odierna di una popolazione che troppo spesso guardiamo di mal’occhio.
La disinformazione e l’ignoranza contribuiscono a calare, d’avanti ai nostri occhi, quel velo di discriminazione con cui inevitabilmente siamo abituati a guardare a un cittadino straniero.
Ebbene, preparatevi a sollevare questo velo di Maya: scoprirete quanto il popolo albanese nasconde, agli occhi di tutti. L’animo buono, onorevole, ospitale, comprensivo e pacifico che si nasconde dietro la fama negativa che molti cittadini albanesi hanno conquistato in Italia. E scoprirete quanto noi italiani abbiamo contribuito al degrado e allo sfruttamento di un popolo naturalmente pacifico.
La mafia italiana ha degenerato una cultura che non gli appartiene, in combutta con una classe politica di indecenti e corrotti uomini che, invece di difendere il proprio paese dalle minacce delle organizzazioni criminali, le ha accolte a braccia aperte collaborando con esse.
Le descrizioni dello stato di vita, dell’assoluta mancanza di qualsivoglia diritto sociale (partendo dalla cura dei malati in ospedale e dalla riprovevole condizione delle donne, ultimo gradino della scalinata sociale), della tragica condizione della maggioranza dei cittadini onesti, rivela una realtà di cui pochi sono a conoscenza.
L’Albania è una terra tormentata, abusata, sfruttata. E noi italiani siamo i primi nella lista degli sfruttatori. Le traversate verso l’Italia e l’Europa, le condizioni dei migranti e la fede che essi ripongono in un paese che hanno imparato a sognare, durante gli anni successivi alla caduta del comunismo e all’instaurazione di una democrazia più finta che reale, ci parlano del disagio che questo popolo ha vissuto e vive tuttora.
L’autore denuncia un vero e proprio dramma umano. L’assoluta prevalenza della legge del Kanun, un codice di regole antichissimo e violento, che regna ancora sovrano in tutta l’Albania e che regola i rapporti tra le persone.
Non importa se il territorio è pieno zeppo di bunker militari, costruiti dal dittatore Enver Hoxha, dei milioni di euro che transitano dall’Europa all’Albania per essere “ripuliti”. Non importa se questa nazione è diventata la base dello smistamento e del commercio di droga e di armi illegali per diverse organizzazioni criminali.
Non importa se l’80% dei cittadini albanesi è gente come noi, umana e onesta. Non importa se molti bambini sono costretti a frugare nell’immondizia per raccogliere lattine di plastica e di acciaio, per guadagnare un euro con cui sfamarsi, dopo esser stati battuti dagli sporchi padroni che li sfruttano. Non importa se milioni di donne spariscono dalle loro case, per essere vendute a mercanti di morte che faranno di loro delle prostitute.
Leggere questo libro apre decisamente gli occhi sulle condizioni inumane che popolazioni semplici e buone vivono quotidianamente. Condizioni che la corruzione morale di molti uomini ha contribuito a peggiorare.
Tanto di cappello a questo scrittore, che ha avuto il coraggio di raccontare la sua avventura in Albania, di accompagnarci nel suo viaggio in questa cultura che ci sembra così lontana da noi. Ma non immaginiamo neanche quanto ci è vicina. Basti pensare che in Albania la maggior parte delle persone conosce l’italiano, guarda i programmi italiani, sogna di vivere in Italia, dove la vita è più buona, più semplice, più giusta. Un romanzo che mette in luce una situazione gravissima, oltre a farci comprendere quanto invece la nostra vita sia governata da organizzazioni economiche prive di scrupoli, corrotte, ignobili, immorali, inumane. Un libro che ci costringe a riflettere sui valori che regolano la nostra vita e sulle lotte che dobbiamo necessariamente intraprendere, per riportare il nostro paese, come molti altri, allo stato di salute che soccombe da quando abbiamo lasciato che gli interessi di pochi sostituissero quelli della comunità.
L’aquila e la piovra
Federica Bruno