Si può perdere tutto quello che si ha nel nome dell’amicizia? Si può conoscere l’amore dopo aver vissuto nel torbito più indecifrabile? Si può trovare una propria redenzione dopo aver ucciso? Può esistere, a prescindere, la parola perdono?
Paola Barbato in “La torre d’avorio” scava nel dolore, prova a decifrare rapporti di amizia e apre una nuova visione sull’essere genitore, completamente di rottura rispetto a quelle che convenzionalmente sarebbe lecito attendersi. Forse perchè, in “La torre d’avorio”, (Neri Pozza Editore) non c’è proprio nulla di convenzionale e mai niente è come sembra. E’ casomai un percorso surreale quasi tutto al femminile visto che la stragrande maggioranza dei personaggi che lo costituiscono sono donne: persone con un passato difficile, professioniste in cerca di equilibrio ma anche al tempo stesso vittime di sè stesse o di qualcuno a loro molto vicino. Paola Barbato scava nel profondo dell’animo umano, si immerge fino a sfiorare l’abisso inzuppandosi di dolore in una storia in cui il colpevole sembra non voler mai saltare fuori.
Protagonista dell’ultimo romanzo di Paola Barbato è Mara, nel romanzo costretta a vivere protetta dai servizi sociali sotto falso nome in un percorso di riabilitazione dopo aver avvelenato consapevolmente e quasi ucciso il marito, il figlio e la figlia nella loro abitazione in Liguria. Vive ritirata in un piccolo appartamento di Milano rifiutando ogni contatto con l’esterno (unica ammessa al suo appartamento è Valeria, la sua instancabile assistenze sociale) fino a quando il suo unico vicino di casa non viene trovato morto avvelenato con la stesso veleno estratto dalla rarissima pianta che le aveva dato tanta notorietà mediatica. Mara è chiaramente innocente ma la fuga le appare come l’unica via d’uscita per dimostrare la sua innocenza. Da lì in poi si innesca una lunghissima catena che per mezza Italia coinvolgerà cinque donne (Moira, Fiamma, Beatrice, Mariagrazia e, ovviamente, Mara) che hanno condiviso con lei la struttura psichiatrica e che, come lei, erano state autorizzate ad intraprendere un percorso di resinserimento. Una fuga a perdifiato da Milano e Bergamo, poi verso la Toscana e quindi via verso Viterbo poi poi risalire e concludere l’avventura a Levanto, per certi versi proprio dove tutto era più o meno iniziato.
Mara per dimostrare la propria innocenza dovrà sacrificare tutto quel poco che le è rimasto: la fiducia nelle amiche, la speranza di rivedere i figli, il sogno di riconquistare l’ex marito. Dovrà mollare tutto, quasi come se l’autrice volesse spogliarla della sua anima per ridarle una nuova vita facendole smascherare l’insospettabile colpevole di una serie di omicidi che avevano, in linea teorica, Mara come la colpevole designata.
Paola Barbato stupisce ancora una volta il lettore: traccia personaggi difficili da dimenticare nelle loro sfaccettature che sostengono una storia che regge il confronto con l’incredibile fino alla soluzione finale.