La stagione delle Erinni – Stefano De Bellis, Edgardo Fiorillo



Stefano De Bellis Edgardo Fiorillo
La stagione delle Erinni
Einaudi
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Un nuovo coinvolgente thriller storico ambientato nell’antica Roma.

Tornano i protagonisti che abbiamo già avuto modo di vedere all’opera, Tito Annio Tuscolano, detto il Molosso, ex centurione col fiuto da segugio che non molla mai (l’uomo rude e forte), e Marco Tullio Cicerone, oratore e politico che non ha bisogno di molte presentazioni (l’altro protagonista, mente sopraffina e stomaco delicato). E insieme a loro il lettore vive le atmosfere e gli intrighi di potere all’ombra della giovane e brulicante res pubblica dilaniata da mille lotte intestine.  

Il talento non è acqua e i due autori, Stefano De Bellis ed Egardo Fiorillo, continuano a dimostrare di sapere il fatto loro dopo il felicissimo esordio, due anni fa, con “Il diritto dei lupi” che lasciò il segno, presentandoci il Molosso e l’allora ancora giovane Cicerone. Arrivato dalla provincia, forte di una preparazione più che eccellente, appena ventisettenne, Cicerone dopo il suo ingresso nella carriera forense con la prima orazione in cui aveva duellato contro il più grande oratore del tuo tempo, Quinto Ortensio Ortalo, divenne famosissimo con l’orazione Pro Roscio Amerino. Dimostrando gran coraggio e caparbietà, smontando le accuse e sventando un complotto orchestrato ad altissimi livelli,   pronunciò tale storica orazione in difesa di un figlio accusato ingiustamente di parricidio, considerato a Roma tra i crimini peggiori in assoluto. Un complotto dietro cui si celava ben altro e in cui avrà una parte importante per dirimerlo anche il Molosso. Non aggiungiamo altro di quel primo, magnifico romanzo, per non rovinare al lettore il piacere della lettura. 

Tale premessa tuttavia è doverosa perché questo nuovo romanzo,  – anch’esso corposo e intrigante che  contiene tutti gli ingredienti per affabulare il lettore – è ambientato otto anni dopo, nell’anno domini 72 a. C., e richiama diversi personaggi che il lettore ha avuto modo di conoscere nel precedente, sia personaggi storici che di fantasia, funzionali alla trama ricca di colpi di scena e suggestioni, che si estrinsecano su più piani narrativi, seguendo in particolare le vicende del Molosso e di Cicerone, che ritroviamo con sulle spalle il peso degli anni passati e delle scelte fatte.

Il romanzo comincia il 6 maggio del 72 a.C. con la morte di Quinto Sertorio, generale ribelle che in Spagna resisteva con le sue legioni fedeli a Gaio Mario. La guerra civile tra Mario e Silla ha lasciato il segno. È un periodo complicato, il governo della repubblica è fragile, Roma è sempre stata affascinata dall’uomo forte e Marco Licinio Crasso è l’uomo più ricco che mai vi abbia avuto i natali. Una ricchezza immensa, pari soltanto alla sua ambizione.

Roma è anche preoccupata da Spartaco, lo schiavo ribelle che col suo esercito di oltre centomila uomini sta diventando una concreta minaccia.

Questo a grandissime linee lo sfondo storico.

Cicerone è diventato senatore, ha sposato Terenzia ed è padre della sua primogenita, Tullia.  A lui si rivolge il collega Quinto Nevio Capella, che lo invita a casa sua con una lettera. Cicerone vi si reca in compagnia del suo scrivano, Tirone.

Plauzia Nevia Capella Minore, giovane e bellissima figlia di Quinto Nevio, è rimasta vedova da poco del ricchissimo senatore Lucio Valerio Flacco Poplicola, molto più vecchio di lei. L’eredità ammonta a ben venti milioni e mezzo di sesterzi. Una fortuna. Ma i Poplicola si oppongono e si fanno rappresentare da Ortalo.

Cicerone e Ortalo si rispettano e piuttosto che incrociare le armi della loro arte oratoria discutono per trovare il giusto accordo tra le parti. Accordo che sembrano volere in particolare i Poplicola.  Ma cosa ci sta sotto? 

Ortalo incontra Cicerone.

– Il punto di partenza della nostra riunione è questo: i Poplicola chiedono che Capella rinunci al ruolo di tutore di Plauzia e della sua eredità. Chiedono altresí che la figlia di Capella, la vedova, accetti la mano di Lucio Valerio Poplicola, nipote di Flacco. In cambio restituiranno la dote di cinque milioni e garantiscono una, diciamo cosí, buona uscita di ulteriori due milioni, per una totale di sette milioni: piú o meno un terzo dell’eredità complessiva.

Cicerone si picchiettò sul labbro. 

– Matrimonio sine manu?

– Sine manu.

Cicerone si voltò verso Tirone, lo scrivano inarcò un sopracciglio. L’oratore allora alzò la posta. 

– Cum manu e un milione in più, oltre a un vitalizio da corrispondere come rendita delle terre in Gallia pari alla metà di quello che Capella ha ricevuto fino alla tragica dipartita di Flacco.

E sulla differenza tra matrimonio cum e sine manu, il lettore avrà modo di capire la sostanziale differenza che riguarda i beni che vanno in eredità.

Intanto, non lontano dall’Appennino tosco-emiliano a sud di Placentia, un messaggero viene inseguito, braccato e ucciso da Fulvio Abile, un uomo di Crasso. Da quelle parti, lontano da Roma, si è nasconde il Molosso, deluso e disincantato, dopo che Flavia, la moglie, lo ha lasciato. 

Ma proprio nella località segreta dove vive, il Molosso riceve la visita di uno strano tipo.

Dall’età indefinibile, era un piccoletto alto poco più di un ragazzino di quindici anni, magro e nervoso, la barba incolta e una folta capigliatura nera piena di ricci annodati. Aveva l’odore rancido di chi dorme con il bestiame. Doveva venire dalle valli. La pelle di capra che indossava e il piccolo disco di rame inciso a sbalzo raffigurante la testa di un toro appeso al collo raccontavano una storia precisa: era senza dubbio uno di quei pochi barbari ancora annidati sulle alture comprese tra Placentia e il mare, avanzi di un’epoca antica in cui le montagne erano sacre. L’ex centurione fissò i piccoli occhi luccicanti: – Ave, pellegrino, ti sei perso?

L’uomo ridacchiò, borbottò tra sé, poi chiese: – Il Molosso dov’è?

Il barbaro ha trovato in fin di vita l’inseguitore, che era stato ferito dal messaggero. Prima di morire ha chiesto proprio del Molosso. 

Perché Crasso lo cerca? Che messaggio nascondeva il messaggero?

Il Molosso decide di chiederlo proprio a Crasso, a Roma, ma a Roma non ritroverà soltanto Crasso e Astragalo, compagno d’armi e suo vecchio amico, ma anche Flavia, che adesso gestisce delle ragazze ed è diventata una carismatica lenona della Suburra.

Capitolo dopo capitolo si entra nel cuore di un complotto che potrebbe fare riesplodere la guerra civile, tra doppi e tripli giochi d’ombra al crepuscolo della repubblica e all’alba della dittatura. 

Una matassa ingarbugliata che metterà alla prova l’intelligenza di Cicerone, l’esperienza di Tito, il coraggio di Flavia, tra colpi di scena e capovolgimenti di vedute, senza tralasciare temi di ieri attuali anche oggi.

Ecco cosa risponde Cicerone a Tirone alla domanda chi è romano e chi no.

E ti pare che nonostante le guerre e i massacri la domanda abbia avuto una risposta chiara e univoca? Marco Lepido e persino Spartaco hanno avuto l’appoggio di gente delle colonie, di italici lasciati al margine della Repubblica… Ora, immagini cosa accadrà quando a pretendere la cittadinanza saranno iberi, galli, arabi o africani che nemmeno sanno dove sia Roma? E quando i barbari di oggi siederanno in senato domani? Chi è romano, dunque? È tempo che qualcuno cominci a chiederselo sul serio senza dare per scontato che il sangue faccia la differenza.

Un romanzo corposo da leggere, gustare e centellinare. E, come tutte le cose buone, da consigliare.

Roberto Mistretta

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