A due anni dalla prima intervista, nuovo incontro con Erri De Luca di passaggio nel Canton Ticino per esibirsi, insieme alla nipote diciottenne Aurora, nello spettacolo A due voci. E’ da poco uscito Il giorno prima della felicità per Einaudi, ambientato nella Napoli degli anni cinquanta che racconta le vicende di un orfano, lo Smilzo, e la sua amicizia con Don Gaetano, tuttofare di un grande caseggiato.
Come vive uno scrittore?
Sono uno che campa con la propria scrittura e se la passa bene. Abito in una vecchia stalla riattata nella campagna romana verso nord, in una via che porta a Bracciano. Mi alzo prima dell’alba, la sera vado a letto prestissimo. Scrivo sui quaderni, ovunque, tranne che a tavolino, anche in piedi. La prima cosa che faccio dopo colazione è leggere dall’ebraico antico, dall’yiddish e dal russo. Poi scrivo, ma non a orari regolari, non sono un impiegato della scrittura.
Cosa fai oltre a leggere e scrivere?
Mi occupo della casa, del campo, degli alberi. Per molti anni mi sono occupato di mia madre che è scomparsa recentemente.
Qual è il tuo rapporto con la religione?
Assente, non sono religioso, sono un non credente che è diverso da ateo. Ateo è uno che ha risolto il problema una volta per tutte come un talebano. Credente e non credente sono persone che regolarmente dubitano, il credente rinnova la sua fiducia e il non credente come me rinnova l’impossibilità di dare del tu alla divinità.
Però ti dedichi alla lettura dei testi sacri …
Questo non fa di me un credente, sono solo un leggente.
Che cosa ha dato una svolta alla tua vita?
La mia vita è materialmente cambiata quando ho smesso di fare l’operaio. Le mie letture le tengono compagnia e non cambiano. La lotta politica è finita intorno a me a fine anni ’70, io l’avrei continuata ma era finita con i licenziamenti Fiat.
Rifaresti le stesse cose?
Rivendico come giuste tutte le cose che ho fatto, non sono né nostalgico né pentito.
C’è qualcosa di autobiografico ne Il giorno prima della felicità?
Di biografico c’è solo il luogo d’origine, quando ambiento storie a Napoli la città diventa protagonista, i personaggi sono solo comparse
Stai scrivendo qualcosa?
No, in questo momento non sto scrivendo proprio niente, mi riposo.
Da qualche tempo oltre a presentare i tuoi libri ti esibisci in spettacoli musicali dove canti e suoni la chitarra. Come mai anche questa forma di comunicazione con il pubblico?
In realtà sono incontri in cui racconto qualcosa e la canto pure, chiamarli spettacoli è esagerato. Anche se si svolgono in teatri non sono opere teatrali, non recito, mi limito a dire.
Com’è il tuo rapporto con il pubblico?
Non ho un rapporto generico con il pubblico, c’è il rapporto tra me e la singola persona che si è spostata di casa per ascoltare le mie storie. Io scrivo e il lettore legge, il rapporto è uno a uno.
Vai sempre in montagna?
La frequento volentieri, senza sentimento di intimità, sono un estraneo e in montagna imparo ad approfondire la mia estraneità.
Che scalate hai in programma?
A luglio scalerò le Dolomiti, un po’ di vie Nord delle Cime di Lavaredo, in agosto l’Himalaya nella valle del Mustang, salirò fin dove posso, non ho progetti particolari.
Cucini ancora la parmigiana di melanzane?
Non più, perché era legata a mia madre che è mancata.