Ho un debole per la carta utilizzata da “Strade Blu”, dal sapore così terribilmente vintage e questo motivo, insieme alla fascetta in copertina di Carlo Lucarelli (ebbene sì, c’è ancora chi le legge), m’ha spinto ad acquistare “La primavera tarda ad arrivare” di Flavio Santi, scrittore che non conoscevo. La storia gialla-noir, edita da Mondadori e ambientata in Friuli, terra di confine, ha un piacevole retrogusto antico/amaro, come un disco di Guccini. C’è l’omicidio di un anziano, certo, ed un ispettore, Drago Furlan (bel nome), che indaga con il suo vice. Ma ci sono soprattutto le osterie – in una delle quali Furlan sviluppa l’indagine, manco fosse il commissariato -, i contadini di uno sperduto paesino di montagna e molto altro ancora che sa di secolo scorso e di provincia italiana. A tratti la scrittura procede faticosa, sembra scorrere lenta come l’acqua del fiume (ma la lentezza è anche un pregio). Santi è considerato uno dei maggiori poeti contemporanei, infatti c’è una certa ricercatezza nell’uso della lingua italiana che gli fa onore ma che, forse, non si sposa perfettamente con i “codici” della scrittura di genere. Potrebbe essere un giallo di Macchiavelli e Guccini (ancora lui), ma per esserlo mancano fluidità e scorrevolezza. I personaggi che animano “La primavera tarda ad arrivare” (bel titolo), Furlan per primo, faticano a rimanerti in testa, benché sussistano dei presupposti perché ciò possa accadere (e molto probabilmente per moltissimi è stato così). L’ispettore, per fare un esempio, vive con la madre, coltiva i pomodori, si muove in sella alla sua vecchia Guzzi, è tifoso dell’Udinese. Ma girata l’ultima pagina ti resta un certo non so che e a prevalere è la stessa sensazione di quando bevi un buon bicchiere di Pinot grigio che non ti soddisfa appieno.
La primavera tarda ad arrivare
Alessandro Garavaldi