Ruth Ware ha incontrato alcuni blogger per parlare del suo nuovo thriller psicologico Il gioco bugiardo
Ciao Ruth e benvenuta su Milanonera
Ne il gioco bugiardo parli di amicizia tra donne e non è la prima volta che affronti questo tema…
Sì, anche L’invito parlava di amicizia tra donne, ma era un’amicizia tossica, malata e deleteria.
Devo ammettere che dopo quel libro mi sono sentita molto in colpa nei confronti delle mie amiche e quindi mi sono ripromessa che ne avrei scritto un altro con al centro la storia di un’amicizia bella e positiva.
Ho letto molti libri che avevano come soggetto l’amicizia, ma tutti parlavano di donne giovani, di ragazze o adolescenti, Non riuscivo a trovarestorie con protagoniste più vicine alla mia età. Donne alle prese con i problemi che nascono dal tentativo di conciliare il lavoro con gli impegni famigliari, con l’essere moglie e madre, piene di sfide da affrontare ogni giorno.
Quando sei giovane gli amici sono tutto il tuo mondo, sono l’universo con il quale di rapporti, poi, crescendo, arrivano nuove responsabilità e il tuo mondo prende un nuovo assetto, i figli cambiano completamente la tua prospettiva. Ecco, io desideravo avere un personaggio che avesse appena affrontato questa esperienza, questo cambiamento radicale. Desideravo raccontare questo momento di passaggio
Ovviamente parlo di amicizie tra donne perché sono una donna e riesco a calarmi meglio nei loro panni, ne conosco le dinamiche. Potrei anche mettermi nei panni di un uomo, ma sarebbe più complicato.
Ecco, per esempio, ritengo Elena Ferrante una formidabile narratrice di amicizie tra donne.
Qual è il limite dell’amicizia?
Questo è proprio il tema del libro. Ogni persona segna i propri confini, il limite che non intende superare. In Il gioco Bugiardo cerco di esplorare i limiti di ciascuno dei personaggi. Quando si smette di andare in soccorso di un amico? Qui si parla di un rapporto costruito sulla fiducia, ma si scopre che una ha sempre mentito e allora la questione diventa se ci sia mai stata vera amicizia…
Fiducia e bugia…
Come è nato Il gioco bugiardo?
L’idea iniziale del libro era proprio quella di parlare di amicizia e mi serviva un’ambientazione particolare, volevo che le protagoniste fossero in un luogo isolato, lontano dalla famiglia, per questo ho pensato al collegio.
Il titolo iniziale era diverso, the drawning game, ma poi mi sono accorta che il tema erano la fiducia e la bugia. Il raccontare le bugie per le quattro protagoniste adolescenti era un modo per sopravvivere, ma così facendo, si isolano, diventano un’entità a parte, separata dalle altre ragazze.
Un gioco che condizionerà la loro vita e il passato gli tornerà violentemente addosso proprio nel momento in cui hanno di più da perdere, quando hanno un lavoro e una famiglia che quel segreto svelato potrebbe distruggere.
Tutte sono rimaste imprigionate da quel segreto che ha loro impedito di andare realmente avanti.
Perché la scelta di raccontare la storia in prima attraverso la voce di una delle protagoniste?
La prima ipotesi era quella di dividere il libro in quattro parti e raccontare la storia dal punto di vista di ogni protagonista, per mostrare come ogni persona metabolizzi e viva la stessa esperienza in un modo diverso. Farle parlare in prima persona contemporaneamente era quasi impossibile, data la difficoltà di caratterizzazione di ogni singolo personaggio. Avrei creato confusione nel lettore che non avrebbe capito chi stava dicendo cosa.
Poi ho deciso di raccontarla attraverso Isa, che essendo appena diventata madre, è quella delle quattro che ha appena affrontato il cambiamento più radicale.
Il gioco bugiardo ha un’ambientazione molto particolare e suggestiva.
L’ambientazione è venuta prima della storia. Durante una vacanza ho visitato un vecchio villaggio di pescatori, molto bello ma molto gotico. Le case con le reti appese e qualche pesciolino o granchietto morto esistono davvero. C’era anche un vecchio mulino circondato da una palude, un luogo meraviglioso in cui ambientare un libro, ma ce ne sono voluti quattro prima che trovassi la storia adatta a quel luogo…Nei miei libri l’ambientazione è un vero e proprio personaggio, ben presente nel dipanarsi della trama
Quali letture hanno influenzato la tua scrittura?
Ho studiato letteratura inglese e sicuramente le mie letture mi hanno molto influenzato.
Jane Eyre, Il mastino di Baskerville, Grandi speranze di Dickens, sono tutti modelli che ho ben presenti e che in qualche modo appaiono nel libro.
Come crei i tuoi personaggi?
Non sono basati su persone reali, ma sicuramente c’è qualcosa di me e di qualcuno che conosco in ognuno di loro. Voglio che il lettore decida in piena autonomia chi è buono e chi è cattivo, io non esprimo giudizi.
Non amo il bianco e il nero, ma tutti i toni del grigio e le situazioni complesse.
Cosa è la scrittura per te?
Scrivere per me è un viaggio, voglio andare dove non sono mai stata e avere ambientazioni inusuali