Intervista a Alan D. Altieri

[In occasione della presentazione domani sera presso la libreria del giallo dell’ultimo suo romanzo pubblichiamo questa intervista ad Alan D. Altieri]
Con Sergio “Alan D.” Altieri quale Editor, a Segretissimo si respira un’aria nuova che ha finito col contagiare tutti gli autori italiani della collana. Lo abbiamo incontrato per fare il punto della situazione della spy story made in Italy e tracciare gli scenari futuri. Ne è venuto fuori un scenario molto chiaramente delineato che si innesta su un panorama politico per alcuni versi agghiacciante, a conferma degli stretti legami esistenti fra la narrativa di spionaggio e gli aspetti più cupi della società in cui viviamo.

Arriva Claudia Salvatori e si firma con il suo nome. Segretissimo sembra seriamente intenzionata a fare un grande salto di qualità. Confermi?
Confermo. Direi anzi che la qualità è stata mantenuta, solo che ci siamo aperti ai numerosi talenti che l’esplosione del giallo o noir italiano negli ultimi anni ha portato alla luce. E lo abbiamo fatto perché gli italiani che affrontano la narrativa di spionaggio sono indubbiamente scrittori di gran talento, mentre ci troviamo di fronte a una penuria di testi validi in lingua inglese. La spy story made in US and GB è in declino. C’è un filone combat special forces che non sono che brutte copie di Marcinko. Quelle che escono dalla categoria sono storie di intrigo politiche dal ritmo piuttosto lento. Intrighi alla Casa Bianca, al Dipartimento di stato. La storia di spionaggio classico è ormai quasi introvabile.

Detta così, sembra che sia stata una scelta di ripiego.
Non è assolutamente così. Innanzitutto la spy story italiana di qualità è sempre esistita. Andrea Santini con Falco, Secondo Signoroni con il suo Maresciallo Costa, una sorta di Maigret del Sismi, Stefano Di Marino con Chance Renard scrivono da almeno quindici anni e sempre con ottimi risultati. Diciamo invece che il declino della spy story di lingua inglese ci ha solo spinti a guardarci attorno più approfonditamente. In alcuni casi siamo andati noi alla ricerca di scrittori di noir di talento che avessero dimostrato le capacità di gestire un’ambientazione internazionale e di più ampio respiro. E abbiamo scoperto di avere in casa autori che non avevano nulla da invidiare ai maestri internazionali del genere.

Però, mentre il noir ha prodotto una gran quantità di figure di spicco, gli scrittori di spionaggio si contano sulle dita di una mano, forse due mani.
Semplicemente perché per scrivere una spy story servono requisiti e capacità particolari, oltre alla disponibilità a un grosso lavoro di ricerca per produrre ambientazioni credibili. Una storia di spionaggio si inquadra in una realtà molto più complessa di quella di un fatto di cronaca nera spesso riconducibile a conflitti familiari o personali. La spy presenta più difficoltà ma proprio in questo sta il suo fascino.

Possiamo aspettarci per il futuro l’arrivo di rinforzi freschi alla SFL (Segretissimo Foreign Legion)?
In questa fase, posso solo anticipare che nel 2008 ci saranno due new entry, una delle quali del tutto inaspettata. Due pilot con personaggi molto diversi, un guerriero proveniente dall’Europa dell’est, un infiltrato di professione. Preferisco non dire di più.

Segretissimo ha dodici uscite l’anno. Stefano di Marino, autore prolifico, scrive almeno due romanzi all’anno. Cappi, Mazzoni, Narciso, Nerozzi e Signoroni, uno a testa. Poi ci sarebbe un certo Altieri. Infine, c’è Claudia Salvatori. Da soli fanno nove titoli all’anno. Considerando che alcuni stranieri continuano ad arrivare, dove mettiamo i nuovi?
In realtà le uscite a partire dal 2008 saranno diciotto, dodici in collana, quattro supplementi, due Supersegretissimo. In passato questi ultimi erano di solito ristampe di de Villiers, ma non tutti. In luglio 2007, per esempio, pubblichiamo Shaun Hutson, un inglese molto prolifico, gran parte della sua produzione appartiene all’horror ma fa anche spionaggio, come i due che proporremo: Il veleno di Belfast e Pace armata. Insomma, di spazio per autori bravi ce n’è ancora.

Che gli italiani abbandonino lo pseudonimo esotico e firmino con il proprio nome va bene, ma questo vuol dire che in futuro su Segretissimo vedremo più ambientazioni italiane? Fino a oggi questo è stato fatto con continuità solo da Secondo Signoroni.
Possiamo aspettarci un presenza sempre più consistente di scenari e situazioni italiane

Soprattutto in Gran Bretagna, ma anche in America, si può ancora proporre un agente segreto come personaggio positivo. Da noi, grazie anche a certe recenti iniziative della magistratura, l’immagine che il grande pubblico, probabilmente a torto, si è formato dei funzionari del SISMI è quella di squallidi figuri dediti a progettare stragi e improbabili colpi di stato. Come la mettiamo?
Credo che il personaggio dell’eroe positivo sia ancora proponibile. Guardiamo per esempio il maresciallo dei carabinieri Mario Costa di Secondo Signoroni. Che non è un caso che sia un sottufficiale. Tra l’altro, si trova spesso in conflitto con il suo capo del momento, che è un personaggio discutibile troppo ammanicato in politica.

Una dozzina di anni fa, con i delitti del gruppo tredici, l’Italia ha scoperto che esiste il noir, di cui all’epoca si diceva che fosse l’unico strumento capace di raccontare la società, di fotografarne le contraddizioni, di riportaci alla realtà sociale non edulcorata dalle soap televisive. Ma da allora il mondo è cambiato e quello che ci assedia oggi non solo dai media ma anche nella realtà quotidiana non è più quello del delitto di provincia, ma quello del terrorismo, delle bombe sulla metropolitana o nei resort di vacanze, o di soldati anche italiani impegnati in rischiose missioni di peacekeeping, dei giornalisti rapiti o degli ostaggi sgozzati. Secondo te gli autori di spy sono in grado di raccontare tutto questo o continueranno a emulare i film di spionaggio di seconda categoria degli anni ’60?

Domanda lunga, quasi un saggio. Mentre perfino l’ultimo 007 ha smesso di fare il verso a se stesso, a Segretissimo sono anni che non emuliamo più Bond. Se andiamo a vedere le ultime uscite di Di Marino, Cappi e Narciso, sono tutte storie saldamente radicate nel clima di cospirazione globale degli ultimi anni. Nell’ultimo romanzo di Cappi saltano fuori gli ossari della guerra nel vietnam. Narciso ci racconta l’industrializzazione del narcotraffico internazionale e i suoi collegamenti con il potere costituito. Nel prossimo romanzo di Di Marino, Gangland, una città che non è mai nominata ma che può essere qualsiasi grande città italiana, è tutta una palude di inciuci fra bande economiche che si scannano usando ex mercenari.

A proposito, funziona ancora il personaggio del funzionario di intelligence educato a Oxbridge che beve Dom Perignon e guida Aston Martin? Qual è il personaggio chiave della spy story di oggi?
Il mercenario. Il giannizzero. Il contractor che lavora per chi lo paga meglio. Gli eserciti sono tutti professionali e il prossimo passaggio sarà la privatizzazione delle forze armate. Così la pianteremo con l’ipocrisia e cominceremo a parlare del “battaglione diamanti” o della “divisione petrolio” o della “brigata zinco.” Ricordiamoci che il contingente ufficiale del Pentagono in Iraq di 140.000 soldati è affiancato da 80.000 contractor paramilitari che lavorano per le industrie private.

Torniamo all’editoria. Segretissimo resta in edicola un mese, vende diverse migliaia di copie, poi scompare. Non è possibile una seconda passata in libreria, come avveniva fino a una decina di anni fa?
È possibile ma va trovato lo sbocco giusto. È un’ipotesi che stiamo verificando.

Un’ultima domanda: l’editoria è pronta a farsi carico dell’enorme attrattiva potenziale che la spy story possiede sui lettori?
L’editoria come industria è pronta. Ci deve ovviamente essere una volontà editoriale, e la risposta dei lettori.

Giancarlo Narciso per Borderfiction

Potrebbero interessarti anche...