Alla fine del diciannovesimo secolo, in una Vienna piena di pregiudizi ed eventi criminosi, si incastona la storia del becchino e studioso Augustin Rothmayer, che supporterà nelle indagini l’ispettore Leo von Herzfeldt, insieme alla fotografa del crimine Julia Wolf.
I tre, anche se apparentemente mal assortiti, si troveranno insieme a risolvere un intricatissimo caso.
Herzfeldt: un ebreo non sempre ben visto dai colleghi; Rothmayer: un’oscura figura che scrive libri sulla inumazione, che conosce ogni segreto della preparazione dei cadaveri, delle fasi della decomposizione e delle cause di morte; e la signorina Wolf: una donna che tira a campare crescendo una bambina piccola, senza un padre, mentre si occupa di immortalare scene del crimine.
Nel Kunsthistorisches Museum viene ritrovato fortuitamente un sarcofago contenente un uomo mummificato, un famoso professore di Egittologia da poco scomparso, ma di cui nessuno ha denunciato la sparizione.
Il romanzo, un thriller storico, viaggia su due binari: uno, con qualche influenza gotica intonata con i gusti dell’epoca, che sfiora il trascendente, e che tenta di affascinare il lettore, con mummie, elisir di lunga vita, esperimenti scientifici, lanterne magiche, gente che vive nelle fogne, popoli indigeni esposti allo zoo come animali, studi sulla vita oltre la morte etc; l’altro su un più solido binario di indagine su campo, dove in modo leggero ma ben inserito, si parla delle tecniche di indagine dell’epoca, in particolare della novità di rilevare le impronte digitali, dell’utilizzo della macchina fotografica sulla scena del crimine etc.
La storia si complica oltreché per la difficoltà di districare la matassa, anche per le differenze sociali dei vari personaggi: ricchi, poveri, aristocratici, donne, ebrei, stranieri dalla pelle scura, che donano corpo al contesto storico e sociale, traducendo il racconto in un’oscuro thriller-noir.
Nel flusso dell’indagine principale, confluiscono parallelamente altri due casi: l’uno legato al sottobosco della criminalità viennese: dei giovani omosessuali vengono assassinati e privati delle loro parti intime; l’altro frutto dell’ottusità dello sguardo razzista dell’epoca, vede un indigeno condannato ingiustamente per un crimine che non ha commesso.
Tutto alla fine confluirà in una articolatissima soluzione.
Personalmente ho apprezzato molto l’indagine e la sua ambientazione; un po’ meno la parte soprannaturale della vicenda, che nonostante la riuscitissima collocazione storica, non mi ha conquistata a pieno, in quanto l’ho percepita, in alcuni tratti, un po’ forzata.
Il tutto ha un sapore in bianco e nero, come l’umidità, la pioggia, la fotografia dell’epoca prevalentemente non a colori; tutto come la indovinatissima copertina del libro, che mi ha spinta a sfogliarne le pagine, e non nego, che anche le origini familiari dell’autore mi abbiano incuriosita molto.
Oliver Pötsch, di origine tedesca, e discendente da una celebre famiglia di boia di Schongau, in Baviera, ha ricevuto il suo maggior successo da una saga ispirata alla storia dei suoi antenati. “La figlia del boia” e seguenti. Mentre “Il becchino e la ragazza” è il secondo romanzo della nuova serie, aperta con “Il metodo del becchino”, anch’esso thriller storico di successo, sempre pubblicato con SEM.
Ora non rimane che aspettare il prossimo caso dell’ispettore von Herzfeldt. Nel frattempo buona lettura.