Tutto quello che ancora non sappiamo sulla mafia. E’ questo il filo rosso seguito dal giornalista Salvo Palazzolo, cronista giudiziario per il quotidiano La Repubblica, che nel suo libro I pezzi mancanti edito da Laterza, racconta in modo dettagliato le prove che mancano all’appello degli inquirenti: dagli appunti scomparsi di Peppino Impastato all’agenda rossa di Paolo Borsellino misteriosamente svanita, fino all’archivio di Totò Riina che viene fatto sparire dopo il suo arresto.
Sono ancora troppe le domande che non hanno trovato risposta, specie dopo le ultime dichiarazioni di Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo che giocò un ruolo importante all’interno dei rapporti tra Stato e mafia. Ne parliamo con l’autore.
Leggendo il suo libro si ha la certezza che siano ancora molti i tasselli che mancano per decifrare alcuni tra i più tragici delitti commessi dalla mafia, oggi quali sono le indagini importanti che stanno continuando e quali quelle ormai archiviate?
Gli storici capimafia corleonesi, Totò Riina e Bernardo Provenzano, sono in carcere. Il primo dal 1993, il secondo dal 2006. Eppure, le indagini della magistratura ci dicono che il carcere duro non ha fermato il loro potere. Probabilmente, i padrini non hanno più eserciti: le operazioni di polizia e carabinieri hanno decimato anche quelli. Riina e Provenzano possono però contare su un’altra forza, quella delle loro insospettabili relazioni, che non sono state ancora svelate. Riina e Provenzano possono contare soprattutto sui loro immensi patrimoni, non ancora confiscati. E sui segreti che continuano a tenere per sé: sono una potentissima arma di ricatto e proposta. Questo orizzonte hanno colto ormai da tempo i magistrati di Palermo, ma le indagini su questo crinale non sono facili, perché non sempre chi indaga ha gli strumenti adeguati per farlo.
Al libro oggi andrebbero aggiunte anche le nuove dichiarazioni di Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo, che chiarisce la provenienza del denaro che servì a costruire Milano 2. Un altro pezzo mancante di quale mosaico?
Massimo Ciancimino sta offrendo un contributo importante, il libro racconta la genesi della sua collaborazione con la giustizia e inserisce i suoi racconti nei pezzi mancanti di Palermo, che sono i pezzi mancanti della nostra più recente storia d’Italia. I soldi restano il nodo per comprendere gli insospettabili legami dell’organizzazione mafiosa. Nel mio libro traccio il percorso che validi magistrati e investigatori avevano iniziato a seguire, per giungere ai segreti finanziari dei padrini. Ma loro furono fermati prima.
Possono esserci dubbi sulle dichiarazioni del figlio di Ciancimino? E quali sono le motivazioni che lo spingono a parlare?
Una sentenza della corte d’appello di Palermo ha riconosciuto colpevole Ciancimino di aver gestito in maniera occulta l’immenso patrimonio del padre, che non è ancora del tutto definito. Fu Giovanni Falcone ad occuparsi per primo del tesoro di Vito Ciancimino: era una delle sue fissazioni, perché già aveva compreso il ruolo dell’ex sindaco di Palermo all’interno della zona grigia fra mafia e società civile. Falcone era riuscito a confiscare a Ciancimino 5 milioni di euro. Più di recente, altre indagini della Procura di Palermo e della Guardia di Finanza hanno portato alla confisca di 60 milioni di euro di beni a Massimo Ciancimino, fra immobili, conti e società. La confisca è stata confermata anche dalla corte d’appello, che ha riconosciuto l’esistenza di tante stranezze attorno a questo patrimonio. Il giovane Ciancimino sostiene invece che quei soldi avrebbero tutti origine lecite. Ecco perché, talvolta, sono sorti dei dubbi sulla sua attendibilità. Ciancimino parla per salvare il suo patrimonio? E soprattutto, ha detto tutto quello che sa? Perché non parla anche del patrimonio di famiglia? Michele Costa, il figlio del procuratore Gaetano Costa, assassinato nel 1980, ha lanciato una provocazione a Ciancimino: “Vuole davvero rinnegare il padre? Perché non rinnega anche i suoi soldi, che sono sporchi di sangue?”
Il mafioso Bernardo Provenzano se ne va in giro con mercedes e autista per le vie di Palermo, dal 1963 al 2006, caso unico nella storia criminale mondiale afferma lei. Oggi, stando a quanto racconta Ciancimino junior, viene alla luce che esisteva una vera e propria immunità territoriale. Cosa è successo dopo e perché le cose sono andate diversamente?
Il mistero di Provenzano, latitante per così tanti anni a Palermo, non è ancora svelato. Non sappiamo davvero chi gli offerto protezione. Massimo Ciancimino ha raccontato di un tale signor Franco, un esponente dei servizi segreti che sarebbe stato in contatto con suo padre e con Provenzano. Del signor Franco Ciancimino aveva due numeri nel telefonino: un’utenza fissa di Roma e un’utenza cellulare. Il signor Franco non ha ancora un’identità.
Nel suo lavoro da cronista giudiziario ha seguito e scritto di molti mafiosi eccellenti, trascorrendo molto tempo nelle aule di tribunale, e inoltre è anche autore del sito www.bernardoprovenzano.it , cosa sta cambiano secondo lei all’interno del mondo della criminalità organizzata?
Fra il 2003 e il 2004, Provenzano inviò negli Stati Uniti due suoi giovani e fidati emissari: Nicola Mandalà e Gianni Nicchi. Solo qualche anno dopo abbiamo saputo, grazie ad alcune fotografie ritrovate casualmente a Palermo dalla squadra mobile, che Mandalà e Nicchi avevano partecipato ad alcune cene con un tale Frank Calì, ambasciatore della famiglia Gambino Inzerillo di New York. Gli investigatori rimasero sorpresi: cosa ci facevano i rappresentanti di due clan rivali a Palermo, assieme a cena a New York? Gli Inzerillo sono i perdenti della guerra di mafia degli anni Ottanta, quelli che furono sterminati oppure esiliati dai corleonesi di Riina e Provenzano. Quel viaggio americano ha sancito una svolta per Cosa nostra. Prima di finire in carcere Provenzano ha attuato la sua ultima clamorosa riforma. Il rinnovato patto sta comportando il ritorno a Palermo dei mafiosi di un tempo, quelli che hanno fatto enormi fortune negli Stati Uniti con il traffico di droga. Cosa nostra continua a fare affari. I capitali non mancano, e nemmeno gli insospettabili manager.