Quello che Massimo Avenali, giornalista e fotoreporter, ha fatto in E morirono tutti felici e contenti è curare la raccolta di alcune tra le fiabe più celebri e renderle “non più fiabe”. Tutte le favole che conosciamo, quelle dei fratelli Grimm o di Andersen sono state reinterpretate e riscritte a partire da uno sguardo nuovo, quello di diciotto scrittori esordienti e non, portatori di una nuova memoria e un nuovo immaginario che si sostituisce a quello che ci ha accompagnato durante la crescita.
Così la Piccola fiammiferaia, nell’immaginario di Stefano Tanturri, è una prostituta grassa e indifesa, – “una fantasia felliniana dipinta da Botero (..) con uno spudorato salvagente di ciccia, indossato quasi con indifferenza ”- vittima di un padre molesto.
I Sette nani di Giovanni di Iacovo sono la migliore squadra della TyssenKrupp, i sette fratelli irlandesi Mc Banshee: Gongolo è chiamato così perché, “a causa di un’esposizione prolungata ai fumi di tungsteno è diventato priaprismico e ha il pene eretto 24 ore al giorno tutti i giorni”, mentre Cucciolo, affetto da ipertricosi, è frutto degli effetti collaterali della sperimentazione di ormoni per rendere più lucido e fluente il pelo dei cani da pedigree la cui madre, assai povera, si sottopose da giovane per alzare un po’ di quattrini. E Biancaneve sfugge dalle grinfie dalla matrigna, la regina della TyssenKrupp, che la vuole morta perché le ha rubato la parte da protagonista nella fiction Il giovane Hitler: un peperino sbarazzino.
Ben lontano dallo stile rassicurante delle fiabe Fabbri –come dimenticare la dolce melodia “A mille ce ne è, nel mio cuore di fiabe da narrar”? – E morirono tutti felici e contenti è un esperimento ben riuscito di reinterpretazione critica, sarcastica e riflessiva della realtà partendo dal fantastico fino a toccare le vicende di quotidiana cronaca, mal costume, intolleranza politica, sociale e civile.
Come non provare empatia per il Pollicino di Francesca Adriani, un muratore in nero che ha perduto tutte le dita di una mano tranne una, il pollice, appunto. Alzi la mano chi non per una volta non si è sentita come la Cenerentola di Nicola Manuppelli, un’annoiata adolescente in una Milano (o in una qualsiasi altra città o paesino d’Italia e del resto del mondo) afosa.
Il risultato è una narrazione che è un melting pot di stili di scrittura diversi, originali e mai noiosi, che fa riflettere e che genera un sorriso amaro, quasi un ghigno, di fronte alle grida della moderna società che, spogliata di tutti i ricordi e le sicurezze dell’infanzia, si presenta per quello che è, ossia un luogo di antieroi e principesse diseredate che si ritrovano sole senza neppure un rospo che si trasformi in principe.