Mamma, ma io sono piccolo o grande?
Qualcosa mi fa il solletico a partire dall’ascella, e scivola sempre più giù, lungo il fianco sinistro.
E’ la goccia di sudore isterica, vecchia compagna di nevrosi, che sgorga quando mi trovo sul ciglio di qualsiasi burrone, piccolo o grande. Cosa rispondo?
L’odierna fuoriuscita di sali minerali è per colpa della nonna, che poverina ne ha viste di tutti i colori: da giovane, una volta, mentre cuciva, ha sentito la porta aprirsi pianopiano. Pensava fosse un ladro, invece, miodio… era il vento. Come ha fatto a sopravvivere a un trauma del genere? Questa volta davanti al piatto, tutti girano e rigirano il cucchiaio nella minestra, e si spera che la nonna riesca a sputare ‘ste due frasi in croce che è da mezz’ora che le ha in bocca.
Ogni suo secondo di silenzio per trovare un vocabolo, è una voragine nella mia pazienza. Non pretendo che il periodo sia complesso e ben articolato, vorrei solo un inizio e una fine. Il punto è che lei ha provato, lei sa cosa vuol dire, lei ha lottato, ha visto, e noi, che paragonati a lei non siamo degni di comprendere la difficoltà di essere al mondo, stiamo in silenzio, e assistiamo alla sua povertà lessicale. Le cattiverie che però regala con immensa generosità, rimbalzano sulla sua lingua come palline da pingpong.
Comincio a traspirare, mi pizzica l’ascella, ma non è per smania di sapere, è rabbia da placare. Spermatozoi, nonna, si dice spermatozoi, non spemizei… e poi per dire che a lungo andare il varicocele può causare sterilità, ci vogliono un antipasto, un primo e metà del secondo? Il dolce non lo mangio, mi defilo e vado a cambiarmi la maglietta fucsia: l’area ascellare segnala una vivace fuoriuscita d’introspezione.
Questa rubrica è realizzata in collaborazione con l’Associazione Culturale Il Cavedio di Varese, come ulteriore sviluppo del progetto “La vetrina da leggere”.