Orso Tosco abbandona per una volta il suo alter ego letterario, quel “pinguino” che l’ha reso celebre, regalandogli anche lo Scerbanenco, e decide di scendere in campo in prima persona.
Lo fa con Controbuio, un romanzo che mischia la malinconia dei ricordi, il fascino del giallo e l’energia sgangherata di personaggi come sbucati dalle pieghe di un tempo rimasto sospeso. È una storia che nasce dal passato, si accende nel presente e trova nella memoria e nelle leggende di una città speciale, Sanremo,la propria linfa vitale.
Tutto parte da un incontro inatteso: Tonino, vecchio pussettista, ovvero baro di roulette, si presenta a Orso chiedendogli di far luce su un delitto vecchio di quasi cinquant’anni. La vittima, Francesco Russello, ristoratore e prestasoldi, negli anni Settanta gestiva un locale notturno frequentato da croupier, bari, piccoli delinquenti e figure che gravitavano intorno al Casinò di Sanremo. Un uomo, Russello, in grado di unire tavola e denaro, amicizie e prestiti, legalità e crimine, ma che nel 1979 fu ucciso, delitto mai scoperto da chi, lasciando dietro di sé un’aura di mistero e, forse, un tesoro nascosto.
Orso Tosco, all’inizio tentenna: non ne sa nulla, appartiene a un’altra generazione (“io sono nato nel 1982”, si giustifica), ma Tonino metterà sul tavolo con lui la carta vincente, invocando il ricordo di suo padre, croupier del Casinò e conoscente dell’intera compagnia di personaggi di allora. Non si può tradire la memoria paterna, e come resistere alla tentazione del mistero? Così il narratore, nonostante la famiglia, la figlia nata da poco, si lascerà trascinare in una notte con il sapore di un’avventurosa ossessione.
L’ambientazione è efficace. Siamo a Sanremo, durante la settimana del Festival, con la città pronta a brillare sotto i potenti riflettori della musica e della televisione. Ma una tempesta improvvisa si abbatte sulla Riviera, spegnendo luci e fasti, e trasformando la sfolgorante Città dei Fiori in un luogo spettrale, sfigurato da vento e pioggia torrenziale. Palchi smontati, addobbi travolti, strade allagate: la natura ribelle diventa un cupo e scomodo controcanto alla leggerezza del Festival. Ed è in questa apocalittica cornice che prenderà corpo l’indagine, un specie di sgangherata ricerca, di Orso e Tonino, ma anche un viaggio nella memoria e nelle storie dimenticate.
Tonino non è solo: ha radunato una improbabile compagnia, fatta di ex croupier, vecchi bari, spacciatori e rapinatori in pensione, figure che sembrano uscite da un film ormai sorpassato e tuttavia ancora disposte a dire la loro. Personaggi che vivono di ricordi, segnati da cicatrici dì sogni spezzati, pur perseguendo ancora il mito della vittoria, della mano fortunata e definitiva. “Gente sempre in fuga ma facilissima da trovare”, spiega Orso con un misto di ironia e pietà, gente nemica e innamorata di sé stessa. Una galleria umana che restituisce con forza l’atmosfera di un’epoca, gli anni Settanta e Ottanta di Sanremo, quando il Casinò pareva il crocevia di fortune, inganni e brucianti passioni. L’indagine è in parte una caccia al tesoro, quell’oro mai ritrovato che apparteneva a Russello, e in parte un viaggio interiore. Tosco mette in gioco sé stesso, la propria storia familiare, la memoria di un padre che visse dentro il cuore pulsante del Casinò. Sarà la nostalgia a fargli muovere i primi passi, il bisogno di ricostruire i fili di una città e di un mondo che non esistono più, sepolti sotto strati di fango e oblio?
Orso Tosco costruisce un romanzo che non è solo giallo, ma cronaca sentimentale e malinconica di un luogo e di un’epoca. La città dei fiori, abituata a mostrarsi sotto i riflettori, appare qui trasfigurata: dietro la vetrina scintillante si intravede la fatica, la decadenza, la memoria di fasti irrecuperabili. È una Sanremo meno turistica e più autentica, popolata di voci dimenticate e di storie che pretendono ancora attenzione.
Controbuio è, mi pare, soprattutto questo: un atto d’amore per la città e per i personaggi che l’hanno abitata, con le loro debolezze, i loro sogni e i loro fallimenti. Il tentativo dell’autore di ricucire il filo con suo padre e con una generazione che si è consumata ai tavoli verdi del Casinò. E nello stesso tempo la prova che le storie, se raccontate, non muoiono mai davvero.
Il titolo, Controbuio, non è casuale: è la ricerca di luce in mezzo a una notte che sembra infinita, è la volontà di dare voce a chi non l’ha mai avuta, di ricordare chi è stato dimenticato. La tempesta che devasta Sanremo si trasforma in metafora del tempo che travolge e sfigura, ma non cancella del tutto: sotto le macerie resta sempre una scintilla, un tenue bagliore. Una piccola luce che resiste al controbuio. Qualcosa è stato salvato: magari non un tesoro materiale, ma forse la dignità, la memoria condivisa possono sopravvivere alla tempesta.