A cantare fu il cane – Andrea Vitali



Andrea Vitali
A cantare fu il cane
Garzanti
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Ogni volta che un libro di Andrea Vitali fa capolino nelle librerie – il che succede spesso visto che l’autore è prolifico – siamo sicuri che ci attende una lettura di stile. Anche stavolta quello del bellanese non è un linguaggio, ma un accurato alternarsi di registri diversi a seconda di situazioni e personaggi, di prospettive e angoli visuali. In questo si sente la lezione manzoniana, il che non stupisce visto che scrittore e azione si collocano non lontano da Lecco.
Accade che, in una notte di luglio del ’37 (epoca littoria e sponde lariane come atmosfere per un verso mitiche e per l’altro risibili), il silenzio lacustre sia squarciato da un urlo di donna doppio, inquietante nella canicola: “Al ladro! Al ladro!”
Il tentativo di furto è sventato prima dall’urlo, poi dalla guardia giurata che acchiappa il furfante per la via mentre fugge, placcandolo. La padrona di casa si scontra per le scale con suo figlio che torna tardi,  e lo fa rotolare facendogli male .
Di lì a poche pagine si schiude una trama fitta di personaggi, tant’è che, per sostenere la memoria del lettore, lo scrittore alla fine pone un elenco alfabetico di nomi, che da p. 417 va a p. 421.
Felliniano è l’avvento del circo in quel della Bellano del fascio, con tutti gli effetti collaterali sugli autoctoni. Nel clima di festa il tentativo di furto nella casa del valoroso figlio della lupa, di stanza in Etiopia, è messa tra parentesi anche dalla moglie Emerita: il Caiazzi, già noto alla Benemerita come ozioso ladro di polli, è stato praticamente colto in flagranza.
Ma il caso non è chiuso per il maresciallo Maccadò, come sempre accade nelle detective stories quando le cose sembrano risolte fin dall’inizio.
Nascono così, nel caso di specie, tante domande. Nel frattempo il parroco fa convocare in chiesa l’appuntato e gli sussurra che il giovane Buonavigna, figlio del sarto e commerciante di tessuti più famoso del lago, anziché andare come previsto in sposo a una facoltosa giovane, è scappato con la donna del circo che mostra l’ombelico. Bisogna indagare sì, ma con discrezione.
Per un verso o per l’altro, per un tocco o un tic, per un  nome o un luogo o una persona, quasi a ogni pagina il lettore avverte la magia della provincia italiana degli anni del neorealismo – negli scorci prediletti da questo – sebbene qui sempre con ironia. Notevole è la capacità di gestione della lingua, con particolare riguardo al discorso indiretto.
Brillanti le pagine in cui tale Vinci, defecante per le vie nottetempo, a cagione di un attacco improvviso, si ritrova a udire di nuovo l’urlo fatidico: “Al ladro! Al ladro!” Corre l’appuntato Virgola in servizio, alla casa dell’Emerita addormentata in poltrona, ma il di lei bastardino lo azzanna senza pietà, segandogli una gamba. Batte in ritirata l’esponente dell’Arma; si ripara nel locale Comando, riferendo al Maccadò per filo e per segno l’accaduto, ai sensi di legge e regolamento.
Vanno così le cose.
Scorre una certa misoginia tra le pagine del Vitali. Le mogli sono sempre un poco virago e prevaricatrici, le madri tendono ad arraparsi, le circensi a non esserci. Ma è una misoginia divertita, che rievoca un poco, di nuovo, il su ricordato genio riminese.
Così anche l’Arma dei Carabinieri, o meglio i singoli rappresentanti di essa, sono messi alla berlina dal tessitore della trama. Basti pensare a quello che suda come un cammello ed è bistrattato in incognito dal capostazione; e a quell’altro cui cascano i pantaloni nei locali del Comando, davanti al maresciallo.
Non si può parlare di noir, né tanto meno di thriller; ma neppure di atmosfera di detective story propriamente intesa, anche se c’è polizia giudiziaria che indaga su reati quasi bagatellari. Il punto è che sovente i carabinieri si muovono come Stanlio e Ollio, e intorno a loro gli altri partecipano alla commedia. Sicché è difficile secondo me parlare di letteratura di genere. Questa è letteratura tout court, con tanto di finale sopraffino.

 

 

 

 

 

Federico Giuliani

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