Vermont, oggi.
Abbandonata in paese dall’ex fidanzato Kevin, l’avvenente Lillian -arrivata da fuori, e dunque potenzialmente indifesa di fronte alle minacce esterne- viene presa di mira dal temibile Blackway, un bifolco ben noto negli ambienti della malavita locale, deciso a vendicarsi per qualche misterioso torto subito. Ritrovatasi con il finestrino dell’auto infranto e con il corpo senza vita della gattina Annabelle sui gradini della veranda, la ragazza decide di rivolgersi allo sceriffo Wingate. Ma senza prove o testimonianze dirette, non c’è niente che la legge possa fare, o almeno così la vede lo sceriffo, che però, prima di congedarla, le consiglia di chiedere aiuto e protezione al vecchio Alonzo Boot -per gli amici Whizzer-, proprietario dell’antica segheria cittadina.
Poco convinta, ma comunque decisa a tentare, Lillian salta in auto e si dirige verso la segheria: chissà che il vecchio non abbia in mente le persone giuste per metterla “definitivamente” fuori pericolo…
Raccontato in terza persona in regime di focalizzazione esterna (per di più rafforzata da “tagli” dal calcolato effetto ellittico o parallittico) e completamente incentrato sul dialogo, Via con me gioca su due piani temporali: da un lato il passato, caoticamente rivangato da Whizzer e dai suoi in una serie di (apparentemente) sconnesse digressioni (rese possibili, e anzi necessarie, dalla presenza di Conrad, testimone non informato); dall’altro il presente dell’azione, sempre (o quasi) introdotto dalla voce della protagonista Lillian. Sta al lettore rimettere insieme i pezzi, tentando di ricostruire i moventi dell’agire dei vari personaggi, sapientemente occultati in un gioco di rimandi e allusioni verbali che avanza, in un progressivo svelamento, fino all’imprevedibile finale.
Romanzo del dopo-undici settembre (la circostanza gioca un ruolo a suo modo importante nello svolgimento dell’intreccio), ambientato in tempi di crisi economica, tasso di disoccupazione in crescita e immobilismo senza via d’uscita -tempi quantomai distanti dall’incessante attività connessa al mito della “frontiera”-, Via con me mostra una chiara ascendenza western nella vaga, impalpabile, coloritura morale (espressa, però, con formidabile ironia), nel fare “americanamente” pragmatico degli attanti e in ciò che, salvo tardive smentite, pare di poter leggere come l’impolverata etica degli “eroi”.
Volendo tentare un paragone all’interno del panorama della letteratura di genere, e astraendo dalle particolarità narrative, si potrebbe forse pensare al Jim Thompson di Colpo di spunga (imprescindibile punto di riferimento per tutti i moderni autori di western), se non fosse che, al di là della piacevole e sapiente costruzione dell’intreccio, il lavoro di Freeman è essenzialmente linguistico: è nel realismo dei dialoghi, nella chiarezza della voce, anzi, delle voci dei personaggi, che l’autore mostra tutta la sua maestria.
Da segnalare l’ottima traduzione del bravissimo Daniele Benati, in grado di conservare una nota inequivocabilmente americana all’interno di un fraseggio italiano per nulla stridente e privo degli usuali (e spesso fastidiosi) calchi lessicali e sintattici.