Il narratore è colui che ha appena compiuto un omicidio. Anzi, un assassinio, come lo preferisce definire lui stesso. Un’esecuzione. Un atto di giustizia, chiosa. E, una volta commesso il fatto, cosa fa per procurarsi l’alibi degli alibi? Elementare, va a Scotland Yard, chiedendo dell’ispettore Duncan, sua vecchia conoscenza. Prima di uscire dalla casa dove ha messo fine alla vita del signor Monckham ha ravvivato il fuoco, così per rallentare un po’ la perdita di temperatura corporea del cadavere e quindi ritardare il momento del decesso nel referto del medico legale. A quell’ora lui era appunto a Scotland Yard.
L’assassinato? Pura feccia umana. Ricattatore della peggior e più pericolosa specie. Uomo senza legge morale se non quella di non averne alcuna. Uno che nessuno rimpiangerà mai, la cui morte invece è salutata con gioia da tutte le sue vittime. Anche se ora si trovano indiziate. Ma il narratore ha fatto le cose per bene, lasciando sul campo solo la possibilità di qualche grattacapo per i primi sospettabili.
L’alibi di Scotland Yard di Don Batteridge (pseudonimo di Bernard Charles Newman, agente dei servizi segreti ed esperto di spionaggio per sua Maestà britannica dalla Prima guerra mondiale in poi) è un’opera di puro divertimento. Per chi l’ha congegnata e messa nero su bianco e per chi quel nero su bianco divora dalla prima all’ultima pagina. Perché di questo di tratta per il lettore: consumare voracemente la storia e non perdersi il più esile filo dello snodo progressivo. L’obiettivo dello svelamento del “chi sta parlando?” e del “perché lo ha fatto?” tengono alta la temperatura ben più dell’interrogativo su come finirà la storia (sin dalle prime pagine coperto dai primi due quesiti) senza che il racconto alla fine si traduca in un semplice esercizio di stile. Il lettore non smette di chiedere: «Dai stupiscimi ancora». E Batteridge risponde: «Sono qui per questo».
E tra un tuffo nella turpitudine, una prova di raffinata intelligenza e la leale operosità degli investigatori di Scotland Yard, il gentleman che spia impreziosisce il nostro té con biscotti. Che alla fine ci accorgiamo di non aver neanche toccato.