La raffica di domande di MilanoNera falcia oggi lo scrittore Fabrizio Canciani (Todaro Editore).
Il libro (di un’altra, altro) che avresti voluto scrivere e il libro (tuo) che NON avresti voluto scrivere.
Sarebbe facile citare grandi libri come “Cuore di Tenebra” o “Viaggio al termine della notte”, a me piacerebbe arrivare a scrivere storie torbide e articolate come quelle di Jean-Christophe Grangé (anche se lui strizza l’occhio alla formula best sellers), quello dei “Fiumi di porpora”, “L’impero dei lupi” eccetera. Vicende dove l’incredibile diventa plausibile attraverso una scrittura agile. Un po’ come succede nel cinema, prendiamo Woody Allen, il Molière dell’era moderna, lui riesce a rendere credibile un personaggio in bianco e nero che esce dallo schermo e si mette a dialogare con Mia Farrow nella “Rosa purpurea del Cairo”. Dal canto suo Truffaut nasconde Trintignant in un negozietto per quasi tutto il film “Finalmente Domenica” e nessuno lo trova. È questa, secondo me, la grandezza della scrittura. In Italia mancano le storie (per capirci, alla Crichton), forse perché, soprattutto da noi la realtà supera spesso la fantasia e il grottesco domina ovunque.
Per quanto riguarda quello che non avrei voluto scrivere, be’, i miei primi volumetti della serie Oltre il Giallo, che uscivano in edicola (e vendevano un casino) riletti adesso non è che mi soddisfino granché, solo i primissimi però, diciamo che poi ho raddrizzato il tiro.
Sei uno scrittore di genere o scrittore toutcourt? Perchè?
Ho scritto gialli “seri”, un giallo umoristico, un dizionario sragionato del calcio, scrivo per il cabaret, sono citato più volte nelle “Formiche” di Gino e Michele. Mie battute sono finite persino sulle tovagliette delle pizzerie! Una mia battuta è stata selezionata in una trasmissione di Fazio tra le prime tre da portare nel nuovo secolo. Eppure mi piacerebbe essere considerato uno scrittore “di genere”, sono citato nel dizionoir, tra Albert Camus e Truman Capote, potenza dell’ordine alfabetico! E poi gli altri generi ormai sono destinati a soccombere. Il giallo e il poliziesco stanno invadendo le librerie, ormai per trattare qualsiasi trama si utilizza il noir o il giallo. Mi viene in mente una frase di Alfred Hitchcock: “Ormai sono vittima di uno stereotipo. Se girassi “Cenerentola”, il pubblico si aspetterebbe un cadavere nella carrozza”.
Un sempreverde da tenere sul comodino, una canzone da ascoltare sempre, un film da riguardare.
Sono molto affezionato alla letteratura sudamericana, amo particolarmente “L’amore ai tempi del colera” di Garcia Marquez, tanto per citarne uno, con la sua canicola del caribe descritta così bene che ti fa sudare anche a febbraio.
Per le canzoni, “Incontro” di Guccini ha ispirato anche il titolo del mio libro “Qualcosa che non resta”, e poi “Starway to Heaven” dei Led Zeppelin e “Genesis” dall’album Quah di Jorma Kaukonen. Sono un inguaribile romantico…
Per il cinema è davvero dura scegliere, comunque Arancia Meccanica è il film che da ragazzo mi ha folgorato, ho scoperto che il cinema era anche qualcosa d’altro. Il mio film di culto è però Pinocchio di Walt Disney, cupo, gotico con delle sequenze che hanno influenzato generazioni di registi. E poi, tanto per citare ancora il grande Hitchcock: “Walt Disney ha il cast migliore che si possa avere. Se qualche attore non gli va a genio lui semplicemente lo ‘strappa’ !” Come dargli torto.
Si può vivere di sola scrittura oggi?
Si sarà capito, amo le citazioni. Ecco, come risposta a questa domanda potrei chiamare in causa lo scrittore Don Marquis: “Se vuoi diventare ricco scrivendo, scrivi il tipo di cose che vengono lette dalle persone che quando leggono muovono le labbra.” Come dire, si può campare di sola scrittura ma devi adeguarti a scrivere di tutto. Salvo ovviamente i casi eclatanti (come Eco, Faletti, Dan Brown…)
Favorevole o contrario alle scuole di scrittura creativa? Perchè?
Ho sempre l’impressione che la dicitura “scuola creativa” sia un ossimoro, certo, in mezzo c’è il termine “scrittura” che riequilibra il tutto. Ma la creatività si può insegnare o solo stimolare? Orson Welles diceva :“La tecnica? Non mi faccia ridere! Nel cinema, come in qualsiasi mestiere, la tecnica si impara in quattro giorni. Difficile, invece, è servirsene per fare dell’arte. per questo occorrono anni”. Ebbene, sono d’accordo con lui.