Ci sono posti nel mondo dimenticati da tutti. Magari noti ai più, ma inavvicinabili. Luoghi dove la morte, il disagio, la paura, il buio sono le uniche cose tangibili e le uniche a governare le esistenze delle “anime perdute”. Sono i buchi neri dell’umanità, creati dagli stessi uomini e tenuti in vita dalla Disperazione, che in quei posti assume connotati fisici e la si può toccare con mano.
In uno di questi oscuri luoghi di quella Roma in cui i turisti non ci passano neppure per caso due poliziotti rispondono a una chiamata e trovano una ragazza morta e abusata e con lei tre tossici di nazionalità straniera.
Fine della storia.
I colpevoli serviti su un piatto d’argento e l’opinione pubblica e la stampa sfamate a dovere con sacrifici umani.
Ma non è così. La triste storia di una giovane donna in una città che fagocita le anime più fragili è molto più complicata e agghiacciante di così. Parla di incontri con persone sbagliate, di cellule di potere metropolitano intoccabili, di élite corrotte e corruttibili e soprattutto parla di dolore personale, del complicatissimo ruolo genitoriale, di quanto la vita in maniera inaspettata sa sbatterti al muro e costringerti a fare patti con il diavolo.
Questo è un romanzo intenso per trama e suspense, ma soprattutto per le pagine dove l’autore mette a nudo il difficile mestiere di vivere che può colpire chiunque, ad esempio dei genitori che si ritrovano un adolescente tetraplegico in casa a seguito di un incidente e devono far fronte a esigenze fisiche, psicologiche e mediche dello stesso senza averne le appropriate risorse.
Ed è qui che l’architettura di Roma calibro zero si manifesta a chi legge in tutta la sua grandiosità. L’agente Fiore viene chiamato a intervenire in quel buco nero dove viene ritrovato il corpo senza vita di una giovane donna e non può sapere che quella indagine lo coinvolgerà in prima persona in una rete di ricatti e corruzione. E se le pellicole americane hanno abituato gli spettatori a poliziotti corrotti che intascano mazzette e depistano indagini per permettersi barche di lusso e vacanze da sogno, Mauro Marcialis presenta al lettore un poliziotto che accetta di essere corrotto perché il giovanissimo figlio ha bisogno di cure e medici costosi. Ha bisogno di vivere perché altrimenti i genitori si lasceranno andare in una spirale di dolore e impotenza che li fagociterebbe.
In queste precise pagine il poliziesco di Marcialis fa il passo ulteriore verso il noir sociale e apre interrogativi e riflessioni che ai lettori fanno mancare il fiato. Riflessioni che accompagnano inevitabilmente anche un altro personaggio di questo romanzo: la moglie dell’assistente del commissario Flavio Fiore. È lei il personaggio di cui ci si innamora follemente. È lei che fa scattare l’identificazione con il lettore per la sua forza, la sua fragilità, la sua determinazione, il suo feroce pragmatismo, il suo romanesco da film in bianco e nero degli anni Cinquanta.
E a proposito di romanesco e di vernacolo occorre sempre stare attenti a dosarli con estrema cura e intelligenza altrimenti possono diventare formidabili boomerang che ti ritornano dritti in faccia dolorosamente. La domanda quindi è: Mauro Marcialis li ha usati bene o a sproposito?
Ho deciso che a questa domanda saranno unicamente i lettori a rispondere.
Io posso solo dire che Sem editore pubblica quelli bravi, prendetelo come indizio.
Roma calibro zero – Mauro Marcialis
Antonia del Sambro