Decimo romanzo o meglio decimo ciak per il commissario Berté, scarmigliato, fumino , lungocrinito con coda brizzolata ma simpatico e fortunato protagonista della serie firmata Martignoni, ah no pardon EMILIO MARTINI, non ci sbagliamo. Come sempre, ormai ci abbiamo fatto l’abitudine, doppia indagine + extra di raccontino, tanto per viziare i lettori ma andiamo con ordine e cominciamo dalla prima (delle indagini). Mentre Berté sta rientrando con la Marzia e un festoso ma “pisciolone” cucciolo di San Bernardo da Montenorbo, ridente paesino della Val Camonica a mezza montagna, dopo una “pseudo” vacanza settembrina arricchita da cold case risolto, il suo braccio destro, il sovrintendente Parodi l’avvisa per telefono che, al suo ritorno, l’aspetta al varco una bella rogna. Un cane pastore, che passeggiava nel bosco con il suo padrone proprietario di una cascina sulle colline intorno a Lungariva, aveva ritrovato dietro a un cespuglio il corpo esanime di un uomo, pestato a sangue, quasi agli estremi. Il possidente aveva subito telefonato ai soccorsi fornendo le esatte coordinate. Il ferito, presto identificato come Roberto Costa, un giornalista di provincia, cronista di nera, era stato portato di corsa in ospedale dove l’avevano operato immediatamente eliminando un grosso ematoma subdurale contusivo che stava per ucciderlo. Insomma il Costa doveva la vita al fiuto un cane. Arrivato in ospedale, Berté trova Costa in coma già ricoverato in rianimazione. Ci sono buone speranze ma finché il giornalista pestato resta fuori conoscenza, non può spiegare cos’è successo. Fino al suo risveglio alla polizia non resta che indagare al buio, o quasi, perché per ora gli unici indizi utili per risalire ai picchiatori sono alcune tracce di pneumatici che potrebbero appartenere a un suv, ritrovate sulla strada sterrata poco lontano… Ma nessuna idea su chi l’abbia ridotto in quelle condizioni e perché? Il Costa è un cronista d’assalto, di quelli perennemente in caccia, che cercano lo scoop a ogni costo, tiene tutto per sé ed è sempre pronto a inventarsi qualche trucco o magari seminare zizzania pur di vendere un articolo e farsi leggere. Quindi inviso a molti, compreso Berté che lo sfuggiva come la peste e non gli ha mai perdonato certe passate insinuazioni al vetriolo su presunti flirt con una collega. Ma cosa diavolo aveva per le mani questa volta di tanto eccezionale per costringere qualcuno a picchiarlo fino quasi a ucciderlo? Berté e la sua squadra, con Parodi provato da una perfida gastrite, per fortuna la Bellini in piena forma e all’attacco, mentre Sabatini batte un po’ la fiacca cominciano a frugare nella vita del giornalista, interrogando tanto per cominciare i colleghi di lavoro e senza tralasciare di andare a fondo anche sui familiari. Il Costa è orfano, sposato ma senza figli, soldi in casa ne girano pochi, lui non ha più uno stipendio fisso e riesce a raccattare un minimo dignitoso solo se vende ogni settimana i suoi articoli. La moglie, Anna Serra, lavora come sarta a Genova, il cognato Pierino Serra, un brutto bambino cinquantenne mai cresciuto, fa l’elettricista, avrebbe un buon posto ma butta tutto il denaro guadagnato con le donne che lo plagiano e lo costringono a indebitarsi. Come al solito Berté, carico di rabbia e adrenalina, avanza dritto come un fuso, ignorando l’incombere delle emicranie ma all’improvviso contemporaneamente succede qualcosa di diverso e di subdolo che invade la sua vita. Una dopo l’altra riceve tre lettere anonime. Una dopo l’altra, infilate nella cassetta della posta della casa gialla. Lettere che parlano del passato e addirittura insinuano sospetti sull’incidente di macchina avvenuto vent’anni prima in cui sono morti i suoi genitori di ritorno dalle vacanze. Lettere che lo innervosiscono, lo costringono a rivivere il senso di perdita, il dolore di allora e la sensazione di aver sbagliato qualcosa. Ma se con la prima lettera Berté poteva aver pensato a un brutto scherzo o peggio a un tentativo di ricatto, quando dopo la terza accetta di incontrare il mittente delle missive, si troverà trascinato controvoglia in un’indagine (che dicevo, ecco a voi la seconda, come da manuale Emilio Martini) che lo coinvolge personalmente, costringendolo ad adeguarsi alla rettitudine e alla perseveranza del padre in quella che, se fosse realtà ,potrebbe rivelarsi una drammatica trappola intrecciata al suo passato. E tuttavia, grazie anche all’ affettuoso appoggio della Marzia, sponda e approdo sicuro della sua vita, decide di accettare la sfida. Non basta, ci sono persino novità domestiche da affrontare ma a conti fatti dal grato e confortevole sapore…
Uno strano caso, una seconda indagine stavolta molto personale per una partita ancora tutta da giocare, e che mette in fibrillazione il commissario Berté e lo costringe persino a riaprire vecchi bauli. Poi però, arrivati alla fine, scopriremo che ….per ora niente soluzione del lontano mistero. Dobbiamo accontentarci del contentino di uno stuzzicante racconto inedito che prova a confrontarsi con antichi fantasmi ma per sbrogliare definitivamente le carte e si spera smontare il bluff degli avversari “Emilio Martini” ci rimanda con malizia alla prossima puntata.
Dietro lo pseudonimo di Gigi Berté si nasconde un vicequestore aggiunto in carne e… coda brizzolata, che opera in un commissariato italiano.
Anche dietro il nome Emilio Martini si cela qualcuno in carne e… penna: due sorelle scrittrici, Elena e Michela Martignoni, che conoscono bene il Commissario, sono milanesi e frequentano da anni la Liguria. Insieme hanno scritto i romanzi storici Requiem per il giovane Borgia, Vortice d’inganni, Autunno rosso porpora e Il duca che non poteva amare, e tutti i gialli con protagonista il commissario Berté. Questo è il decimo.
Il caso Mariutz – Emilio Martini
Patrizia Debicke