Yeruldelgger. La morte nomade. Gli assassini della steppa
Ian Manook ci rivela uno scenario insolito. Insolito forse perché l’immensità della steppa mongola regala l’immagine di un luogo inabitato e inabitabile, un luogo naturale, quasi primitivo, dove i cavalli sono preferiti alle auto e le abitazioni sono tende tradizionali impregnate di ritualità tradizionali. Un luogo che ci appare povero di vita umana, incontaminato, e per questo apparentemente schivo, estraneo a tutto, sia agli uomini che alle loro vicende. Forse perché non ci si aspetta che un poliziotto in pensione in ritiro spirituale proprio in quell’immensità quasi desolante possa imbattersi in un’intricata sequela di delitti, violenze e ingiustizie capace di risvegliarne il senso del dovere. Forse perché, solo a malincuore, ci si rassegna al fatto che anche una terra così intoccabile e splendida nella propria nudità possa cadere vittima dell’avidità e del potere.
Yeruldelgger si è ritirato proprio lì per scontare la propria pena, commisurata ai vent’anni di collera e violenza vissuti entro la polizia cittadina di Ulan Bator. Egli è ormai un ex-poliziotto ed è tenace nel rimanerlo, resistendo a ogni turbamento, ma verrà presto e irrimediabilmente risvegliato dal proprio ascetismo. Prima una donna, Tsetseg, una borghese nomane, così come sono chiamate le persone che lasciano la città per tornare alla steppa, che ha perso la figlia, poi un’altra donna, Odval, che ha visto morire il proprio amante, e poi il ragazzino Ganbold che ci riporta a una scoperta sconcertante. A loro si uniranno anche “i quattro cani randagi”, un gruppo di artisti vagabondi in viaggio su un minibus russo, tra cui Al, che dipinge scogliere bretoni nel mezzo della steppa. Costoro e altri cercheranno in Yeruldelgger una guida e una giustizia; tutti questi personaggi ci accompagneranno col proprio singolare punto di vista alla ricerca della verità su quei delitti e sulla vita dei nomadi.
A cavallo per le distese sconfinate, rileggendo con gli occhi nostalgici dell’oggi l’antica tradizione mongola, entrando nelle yurte e preparando il té salato, l’autore ci conduce alla scoperta di un popolo dalla storia antichissima e del suo difficile dialogo con l’odierno progresso dilagante. Sarà infatti un breve colloquio con una geologa a far aprire gli occhi al nostro agente: la Mongolia è uno scrigno di materiali preziosi ancora vergine, pronto a essere profanato da aziende senza scrupoli, ninja, governatori, stranieri e non.
Alla prova di nervi a cui è sottoposto, Yeruldelgger cede, nonostante la promessa di rimanere neutrale, e la sua ricerca sembra portarci ben oltre il deserto, là dove si concentrano gli interessi di denaro e il potere. Quale senso hanno dei delitti macabri, apparentemente simili a certe esecuzioni rituali che le leggende narrano risalenti alle punizioni impartite da Gengis Khan ai propri traditori? Chi ha operato in questo modo e per quale motivo? Yeruldelgger ci aiuterà a scoprire i volti dei veri traditori della steppa.