In occasione del Noir In Festival abbiamo avuto la possibilità di fare due chiacchiere con Bernard Minier e di parlare di Non spegnere la luce.
Non spegnere la luce è il terzo libro della serie con Servaz, ma è un libro un po’ differente. Una storia con due voci narranti che si incontrano pressappoco a metà libro dove Servaz è quasi un comprimario.Perché hai scelto di raccontare la storia a due voci?
La scelta di avere due narratori mi è stata imposta dall’argomento. È un romanzo che tratta della violenza di genere, della violenza sulle donne quindi, necessariamente, doveva esserci una voce femminile. Per questo Servaz è un po’ in secondo piano rispetto agli altri romanzi, anche se è lui che poi conduce l’inchiesta.
La parte di Christina è stata più difficile da scrivere? Mettersi nei panni di una donna, che difficoltà ha comportato?
In realtà non ho avuto difficoltà a calarmi in Christine. Diciamo anche che sono stato molto aiutato. Molte donne che conosco bene hanno contribuito, abbiamo parlato parecchio e ho osservato la loro personalità. Poi c’è stato un libro che mi è stato molto utile, Un testo scritto da Marie France Hirigoyen che si intitola Femmes sous emprise che raccoglie una serie di testimonianze molto dure su episodi di stalking, di manipolazione, di intimidazioni , di minacce e tentativi di isolamento.
Tutte queste sono diventate poi tappe che Christine sarà costretta ad attraversare. Terminata la scrittura, ho dato subito il manoscritto a delle lettrici per avere il loro parere.
Uno dei temi ricorrenti nei tuoi libri è il lato oscuro, la parte in ombra che nascondiamo. Perché hai scelto di esplorare queste zone buie e come ti prepari per farlo?
A 12 anni lessi Lovecraft e Jean Ray due maestri della paura, due specialisti delle tenebre, dei meravigliosi narratori e indagatori dei territori dell’inconscio. Non ho mai scordato quelle letture.
Da adolescente leggevo anche la formidabile rivista americana Creepy dove disegnavano talenti come Bernie Wrighsin e Frazetta. A quell’età il il cervello è ancora un’argilla malleabile e si formano i gusti e le idiosincrasie.
Per quanto riguarda la preparazione, c’è un lungo lavoro di “impregnazione” prima di iniziare a scrivere: incontro tante persone diverse, leggo tonnellate di libri e documenti. Sono una spugna: assorbo tutto.
Perché hai scelto di parlare della depressione?
Perché no? La depressione è una delle malattie più diffuse della società occidentale imbottita di tutto ma che fatica a trovare un senso a questa vita. Questa può essere la conseguenza di uno dei grandi mali della civilizzazione giudeo/cristiana: non è facile vivere in un mondo senza dio. È anche un male che affligge particolarmente i poliziotti: il tasso di suicidi e di depressione è molto più altro tra loro che nel resto della popolazione. Primo o dopo, bisognava che ne parlassi.
Il suicidio è un tema che torna spesso nel libro…
A dire il vero, mi sono accorto che il suicidio è un tema che torna in quasi tutti i miei romanzi, partendo dagli adolescenti che si impiccano in Il demone bianco sino a Non spegnere la luce e passando anche dal giovane uomo che si suicida prendendo l’autostrada contromano in Nel cerchio.
È un’ossessione personale della quale non capisco l’origine. Detto questo, tutti gli autori scavano da un libro all’altro lo stesso solco, tre o quattro temi, non di più, di cui tornano a parlare e attorno ai quali costruiscono molte storie. Questi temi sono come i colori preferiti sulla tavolozza di un pittore o alcuni accordi per un musicista. Perché proprio quello? Uno psicanalista freudiano o lacaniano potrebbe sicuramente rispondere meglio di me …
Le atmosfere e i paesaggi del libro sono molto malinconici e romantici. Anche Tolosa, la città rosa, è molto nera e ricorda la Marsiglia dei noir…
Ah ,Jean Claude Izzo… Tolosa è, tutto sommato, una città meno violenta di Marsiglia. Potrebbe essere che esista la stessa differenza che c’è tra Roma e Napoli, non lo so… tuttaviaa la delinquenza e la criminalità stanno guadagnando poco a poco terreno. I poliziotti di Tolosa, che conosco bene, devono far fronte a una violenza che aumenta di anno in anno. Senza parlare dei salafisti e dell’integralismo, molto radicato in città, che forniscono terreno fertile per il terrorismo, come ad esempio per il caso di Mohammed Mehah ( attentati a Tolosa nel 2012).
Ma io parlo anche della regione nel suo insieme, questo sud ovest dove sono cresciuto, che è essenzialmente rurale, che è al confine, a ridosso dei Pirenei. Quanto alle atmosfere, beh, nessuna idea mi viene senza che vi siano collegati anche un’atmosfera o uno scenario. Ne ho parlato con i miei colleghi e ho scoperto di essere il solo a “funzionare” così.
Il libro è pieno di citazioni: opera, cinema… anche tu ami Mahler?
Sì, ho imparato ad amarlo mentre scrivevo Il demone bianco. E uso proprio il termine “ imparare” perché capire la musica di Mahler non è facile. Ed è proprio per questa difficoltà che è stato così incompreso in vita. Mahler aveva l’ambizione di racchiudere nella sua musica la totalità della vita, di abbracciare il mondo. È qualcosa di demiurgico che mi affascina. Inserire l’opera in Non spegnere la luce è stato logico: nelle opere le donne sono costantemente maltrattate, tradite, spinte alla follia o al suicidio. E questo è il caso anche di molti personaggi femminili del libro.
Il libro ha un ritmo particolare, sale e scende, quasi un’altalena tra Servaz e Christine, quando uno accelera, l’altra rallenta..
Davvero? Sì, non ci possono essere solo tempi” forti”, è necessario che si siano le frenate per gustare poi l’aumento di ritmo: immaginati un film che sia solo un’interminabile inseguimento in auto ( oh..in effetti credo proprio che ci sia, e si chiama Duel, il primo film di Spielberg).
Sono montagne russe: ci si lancia nel vuoto, si sente l’accelerazione, poi si ha appena il tempo di recuperare che si riparte ancora…
Tu hai uno stile cinematografico, La serie tv tratta dai tuoi libri, ti ha in qualche modo influenzato?
Per niente. Anche l’attore che dà il volto a Servaz non influenza in alcun modo la visione che io ho del personaggio. Per me sono due cose totalmente diverse, due universi paralleli, che hanno qualche punto in comune ma che non si incontrano mai.
Cosa pensi dell”adattamento televisivo dei tuoi libri?
Sono stato entusiasta dell’episodio pilota quando me lo hanno fatto vedere.
Sono molto felice abbiano scelto due attori formidabili di cinema e teatro come Charles Berling e Pascal Greggory, e anche del fatto che abbiano girato proprio nei luoghi dove il romanzo è ambientato: Luchon e dintorni. In compenso ho qualche riserva sul finale e su alcuni aspetti dello scenario.
Cosa hai dato di Bernard Minier a Servaz e cosa invece gli invidi?
È una domanda che mi hanno fatto spesso: diciamo che ho i suoi difetti ma non le sue qualità.
Chi ha scritto la recensione per Milanonera ha detto che se Non spegnere la fosse fosse una canzone sarebbe un cd dei Negresses Vertes e se fosse un film lo avrebbe diretto Luc Besson con protagonista Jean Reno. Sei d’accordo?
Uhu..anche Charles Berling che interpreta Servaz nella serie per Netflix mi andrebbe benissimo o, per una versione italiana, anche Paolo Sorrentino che credo abbia più o meno l’età di Servaz.
I Negresses Vertes? Carino!
Milanonera ringrazia Bernard Minier per la disponiblità.
Bernard Minier è ora in libreria con NOTTE un nuovo capitolo della serie con protagonista Servaz .
.