Venezia. All’interno della casa natale di Goldoni, un losco impresario di pompe funebri muore, ucciso da una cerbottana intinta in un rarissimo veleno tropicale.
Questo è solo il primo della catena di reati che costringe un eccentrico ispettore di polizia appassionato di violoncello a fare la spola fra la città lagunare e la Sicilia. Qui, con l’aiuto di un ospitale maresciallo dei Carabinieri, fra un amorazzo e l’altro il protagonista risolverà una serie incredibile di misteri, venendo a capo di – senza pretesa di completezza – rapimenti, traffici di droga, ricatti, pedofilia, frati che appaiono e scompaiono, ammazzamenti per strada e in luoghi chiusi, quadri, libri d’epoca, donne fatali, vendette, maggiordomi, sosia e amori saffici.
L’autore ha forse creduto di prodursi in un’elegante parafrasi del giallo classico, ma riesce solamente a dar vita ad un romanzo verboso ed estenuante, a metà strada fra il solito Montalbano ed i peggiori epigoni di S.S. Van Dine e John Dickson Carr.
Il suo protagonista, poliziotto assolutamente privo di credibilità ma di rara antipatia, dall’assurdo nome di Giangiorgio, più che a Philo Vance assomiglia ad un eroe di Guido da Verona, ma senza la classe di quest’ultimo. La scrittura è artigianale nel senso deteriore, cioè maldestramente aulica nei momenti sbagliati e legnosa quando dovrebbe scorrere, i dialoghi sono ingessati e fasulli, la trama, tortuosa, sovraffollata e inutilmente sovraccarica, alla fine si scioglie in un niente, come un nodo fatto male. Il tutto è poi gravato da un’ambientazione convenzionale, da siparietti siculo-veneziani indegni persino di uno sceneggiato televisivo, espedienti investigativi puerili proposti senza vergogna, volgarità grevi e descrizioni pruriginose malamente mescolate ad un perbenismo linguistico “di altri tempi”.
E l’abisso è raggiunto allorchè durante una delle superflue avventure erotico-sentimentali del protagonista ci si scopre a leggere – senza ironia alcuna – che il prode Giangiorgio e la bella del momento “si amarono con la passione di Enea e Didone. La loro però fu vera…”.
Allora, come il colonnello Kurz di Apocalypse Now, il lettore annichilito può solo balbettare: “Ho visto l’orrore…”