Per citare “Kappa” (Andrea Carlo Cappi), esisitono sull’orbe terracqueo bizzarre categorie di individui che sono i “cacciatori di libri”. E, va da sé, esistono i libri maledetti. Quelli che abbondano nella letteratura horror e la cui lettura, negli universi alla Lovecraft and Co., fa impazzire gli sprovveduti curiosi. Sarei pronto a garantirvi che esiste qualche caso del genere anche “al di qua”, ma per il momento glissiamo, anche perchè andremmo fuori tema alla quinta riga.
Oggi voglio solo alludere (per consigliarvelo) a un libro che non va ricercato in qualche oscura catacomba o nell’impolverata sacrestia di una chiesa sconsacrata, ma soltanto comperato in qualsiasi libreria: perché anche nelle più innocue rivendite di articoli di consumo (spesso usa-e-getta come sono alcuni best-seller da sistema-mercato…) possono reperirsi libri che emanano alla lettera il “profumo” del Male. Questo s’intitola I tre giorni all’inferno di Enrico Bonetti cronista padano, scritto da un amico – Valter Binaghi – con cui condivido aspirazioni a scendere alle massime profondità dell’Abisso, amore per il rock e persino qualche acciacco, ed è – alla lettera – la più viscerale calata nel ventre molle, liquamoso, della merda maligna, terrorismo della mente prima che della carne, che sta intossicando la psiche e l’anima del pianeta grosso modo da quando siamo transitati nel cosiddetto Millennio. Il libro non ve lo racconto, perché sarebbe un sacrilegio, e vi dico solo che c’è Satana (quasi in persona) che si balocca fra crimini rituali di provincia, orrori cosmici per nulla metafisici, esorcismi e antagonismo metallaro, personali criminali tanto grotteschi quanti veri e un giornalista di provincia che devo avere incontato ad Alessandria almeno una dozzina di volte durante la mia vita (se posso citarlo, il grande Corrado Testa quale archetipo locale…), e qui mi fermo. Però il Binaghi, con la sua Healer’s Blues Band (blues sanguigno, da delta del Tanaro…), è sceso a sua volta negli inferi di Alessandria (basso piemonte, bassa pianura, conca dove già non si respira…) per portarvi il suo spettacolo Discesa agli inferi di cronista padano, che al romanzo in questione è ispirato quasi come uno spin-off (ma saggiamente lo riproduce solo in parte). E al riguardo qualcosa in più riesco a snocciolare.
La “discesa”, quella rappresentata sul palco, consiste nella lettura drammatizzata a due voci di alcune pagine tratte dal romanzo, “montate” però in modo diverso, alternate all’esecuzione di brani musicali molto noirs (Chris Rea, Nick Cave, Bob Dylan, Tom Waits, Rolling Stones e altri ancora) che “staccano” e al contempo fungono da soundtrack. Le due voci in “contrappunto” sono quella di Binaghi e del “diabolico” Davide Scheriani, secondo solo sul fronte della suggestione maligna alla grande statua del leggendario Pazuzu filmata negli anni Settanta da Friedkin ne L’esorcista… Questo Bonetti che si concretizza in palcoscenico, quasi un “fantasma alla De Palma”, è un cronista di nera che lavora in un’altra “bassavilla” (provincia lombarda, nebbie, noia, finte trasgressioni, quasi il nulla…), ed è malinconicamente innamorato di Ljanka, una prostituta slava che progetta di strappare al racket. Alcuni misteriosi omicidi, tra cui quello particolarmente orrendo di una donna gravida cui è stato strappato il feto, mettono il Bonetti sulla pista di un gruppo di giovinastri, satanisti da Bar Sport come quelli di recente resi celebri dai processi alle cosiddette “Bestie di Satana”. A questo punto emerge dalla penombra scenica uno dei protagonisti della vicenda: il prorompente frate Remigio da Mortara, esorcista in Rete ed eterodosso indagatore di crimini rituali, che non esita di fronte ai metodi della pirateria informatica. Grazie a lui il Bonetti scopre che i satanisti hard rock sono solo lo scenario più folklorico, semplice manovalanza dietro cui si cela una vasta organizzazione criminale.
Pian piano il paesaggio provinciale delle prime pagine lascia spazio a una mappa internazionale dell’orrore che comprende traffico d’organi e cliniche compiacenti, e un mercato di vite umane destinate al ruolo di cavie in laboratori coperti da segreto militare.
Dopo l’11 settembre la paura è il vero business del terzo millennio, in nome di essa la ricerca di armi biologiche si è fatta indefessa quanto clandestina, e lo scontro di civiltà che il neo-imperialismo reclama a gran voce potrebbe richiedere sacrifici umani.
In mezzo a tutto questo il Bonetti riesce nell’impresa di strappare al racket dell’immondo Zoltab la sua Ljanka e giunge a rivestire un ruolo decisivo nelle indagini, durante le quali s’imbatte in personaggi commoventi e surreali come Alvaro, che allestisce spettacoli coi suoi cani ammaestrati nelle piazze di paese, o come Papa Lumumba e Mama Rose, due profughi di colore dal diluvio di New Orleans, che con un rito sciamanico rendono possibile al cronista una discesa agli Inferi del proprio inconscio, per recuperare un ricordo perduto ed essenziale alla ricerca. E si appalesa lo scontro finale, ma qui mi mi autocensuro perché il colpo di scena – tanto quello sul palco che quello nel libro – è di quelli autentici che ti arrivano diritti nelle pudende, lasciandoti senza fiato.
Le due discese nel Mondo di Sotto, nella loro reciproca congruità, assumono i caratteri di un romanzo di idee: scontro tra l’anima cristiana, decisa a preservare la sacralità della vita, e la ragione luciferina, ovvero l’agire tecnico che trasforma il pensiero in informazione e l’essere in merce. Tutto questo avviene nell’impotenza della politica (c’è un capitolo interamente dedicato a una manifestazione anti TAV, ma anche una chat in cui si scopre come e per chi vota Berlusca), l’inattualità della scuola e la complice futilità di certa cultura, mentre le masse sono sempre più irretite da una rappresentazione spettacolare della vita, ormai identica alla vita stessa: mentre frate Remigio è convinto che i demoni si siano impadroniti del mundus imaginalis attraverso i media, e che la percezione attuale del mondo sia una sorta di allucinazione condivisa (quel che in pratica andiamo raccontando da eoni nelle Cronache…), e l’autore paga i suoi debiti alla sociologia oltre che alla teologia, citando tra i crediti autori come Marshall McLuhan, Ivan Illich, Christopher Lasch e Renè Girard, e tra le citazioni letterarie persino il nostro Palo Mayombe, in buona compagnia di vari “rabdomanti del Male” quali Avoledo, Bernardi, Genna, Formenti… E tanti altri, tra cui dei grandi che non necessitano della nostra citazione.
Che raccontarvi d’altro? Fate girare questo spettacolo (oltre che comperare il libro). C’è un Binaghi che canta con un vocione roco e convincente e da lontano appare come perfetta sintesi tra Venuti e Jean Reno, un agghiacciante Scheriani che ti costringe dal palco ad abbassare lo sguardo e spiare la punta delle scarpe, un gruppo di musicisti di prim’ordine che sputa l’anima sul palco. Insomma, il minimo indispensabile per rendere sopportabile questo e altri inferni.