Alessandro Zannoni, già noto a un pubblico non solo di nicchia per i suoi esordi letterari firmati con lo pseudonimo di Michelangelo Merisi, è approdato con questo romanzo nella collana Babele Suite di Perdisapop, diretta da Luigi Bernardi e convalidata da nuovi ma anche conosciuti nomi del noir.
Ambientato tra Sarzana, comune tra Liguria e Toscana in cui vive l’autore, e Viareggio, Biondo 901 ripropone di quei luoghi, più che una descrizione paesaggistica, un’idea di linea di confine, di terra di nessuno che assurge però a diventare cosmopolita. In questa terra madre che accoglie tutti, dal toscano doc al meridionale alla straniera, si dipana un storia che è di passione, di morte, di malavita, di sesso, di tradimento, ma è soprattutto, come ha chiarito l’autore stesso: «una storia d’amore, anzi, è l’amore vissuto in quattro modi differenti. Tutto il resto è contorno e fumo negli occhi.»
I quattro punti di vista dei diversi personaggi si smascherano, ad ogni capitolo, in concatenazioni veloci, la narrazione non lascia spazio alle pause e il lettore divora le 119 pagine con la frenesia di chi è stato risucchiato dalla storia. La polifonia rivela l’illogico della vita ma lo fa concentrandosi anche sull’altra faccia della medaglia di questa assurdità: quattro esistenze che convergono, per tutti, nello stesso vertice e rendono giustizia alle dichiarazioni di Zannoni: è sempre l’amore, diverso per ogni protagonista, il motore di una narrazione a sfondo nero. Lo è per il parrucchiere Giordano che ha stilato un personale vademecum per vivacchiare senza troppe seccature e per sfuggire alle variabili nelle quali –scherzo del destino– sarà intrappolato. Lo è per Letvania, la kazaka che entra nel suo salone: viso di porcellana, colore di capelli biondo 901 e la solita meraviglia di sensualità che molte donne dell’est (e non solo!) possiedono con una naturalezza sfrontata. E’ un attimo e tutte le certezze del parrucchiere vanno a frantumarsi contro gli scogli inutili dei suoi decaloghi. L’amore, con la forza propulsiva di purificazione che gli è propria, rende quasi positivo perfino Doppiopetto, un criminale non altrimenti assolvibile. Ancora lo stesso sentimento muove l’ultima voce, quella dell’amico di Giordano, Fabio F., e non importa che lui sia un sempliciotto un po’ analfabeta, che si rende simpatico col suo intercalare diolai, grande puttaniere e perciò infimo devoto dell’amore e votato al suo mercimonio. Riuscitissimo il suo racconto, in particolare gli scorci d’infanzia rivissuti con dei brevi flash-back, alcuni dei quali di un’intensità commovente.
Delle tecniche di scrittura riprese dall’arte cinematografica si è già ampiamente parlato: il libro comincia con un io narrante che si osserva come se si rivedesse in un film. Quello che m’interessa, ora, è piuttosto l’analisi stilistica delle quattro voci. La versatilità linguistica fa plasmare allo scrittore, per ciascun personaggio, un idioma verosimile. Così il capitolo di Letvania è scritto in un italo-slavo che avanza speditamente, insaporito dai proverbi popolari della nonna, quello di Fabio F. procede per ragionamenti elementari e non ossequia volutamente le regole del congiuntivo. Giordano parla come pensa, come ama, come vive, ferendosi con le sue stesse contraddizioni: ed ecco i periodi spezzati, le frasi tagliate, secche, le parole sospese che seguono a valanga le sue implosioni interiori.
Da un clichè che poteva rivelarsi a doppio taglio, quello della dark love-story osteggiata tra italiano e straniera, Zannoni ha dimostrato la grande dote di distaccarsi. E di valicarlo, questo spunto già sfruttato nella nostra narrativa, per lanciare la narrazione molto oltre e scavare nell’animo umano in maniera leggera, quasi scanzonata, ma profonda allo stesso tempo.