WW (DiRottamenti) – Le neo-bloomers

Ma perché voi donne vi ostinate a portare i pantaloni? All’ennesima volta che mi sono sentita rivolgere questa domanda, ho cominciato a rispondere: “Provi lei a scendere da una Ferrari in minigonna e tacchi a spillo”. Non sempre si può contare sull’ironia maschile, ma almeno una ci prova. La domanda ovviamente nasconde tutt’altro che preoccupazioni stilistiche: che le donne possano star benissimo in pantaloni l’aveva già dimostrato Marlene Dietrich negli anni Trenta e la faccenda si è chiusa lì.

Che gli uomini abbiano, volutamente, ignorato il problema della scomodità dell’abbigliamento femminile (soprattutto dal Cinquecento ai primi del Novecento) e al tempo stesso abbiano sempre considerato il tentativo di abbandonarlo per qualcosa di più comodo come un attentato al loro potere, lo dimostra anche la curiosa storia dei bloomers, riportata alla ribalta nella post-fazione di un libro piacevolissimo, Il giro del mondo in 72 giorni, di Nellie Bly (Mursia).

Nellie era una giornalista statunitense che, tra 1888 e 1889, fece appunto il giro del mondo in una tempo inferiore a quello immaginato da Jules Verne: Tra i suoi innumerevoli articoli ci furono anche importanti interviste. Una, riportata in fondo al volume, è all’anarchica di origine russa Emma Goldman, che Nellie intervistò in carcere nel 1893.

Nel descrivere la donna, la cui figura e il cui pensiero terrorizzavano i benpensanti americani, la Bly si mostra invece del tutto aliena da pregiudizi e, tra le prime cose, dice che non indossa pantaloni alla Bloomer. Amelia Bloomer era un’attivista per il voto alle donne che, nel 1850, suggerì alle lettrici del suo giornale, The Lily, di indossare un abbigliamento più comodo: un abito fino al ginocchio e sotto un paio di pantaloni come quelli portati qualche decennio prima da un’altra riformatrice straordinaria, Fanny Wright, e dalle donne della comunità utopica New Harmony. Nel dire che Emma Goldman non portava i bloomers, Nellie voleva sottolineare che era una donna “normale”.

E non a caso molto poco “normale” è la protagonista di un interessantissimo romanzo (anche se letterarialmente non impeccabile, Vergine giurata, della scrittrice Elvira Dones (edito da Feltrinelli), che vive tra Svizzera e Stati Uniti ma è di origine albanese.

La storia è quella di Hana, una ragazza albanese di buona educazione che si traveste da uomo per sfuggire a un matrimonio combinato e ottenere il rispetto del suo villaggio montano. Poi fugge in America e riacquista la sua identità femminile.

Non è un’invenzione della Dones: una giornalista albanese mi ha raccontato che molte ragazze fanno così per lavorare e muoversi in libertà e per mantenere così le loro famiglie, ottenendo pure quell’autorevolezza che agli uomini spetta… per il solo fatto di indossare i pantaloni.

Strano, no?

Come se Dio fosse un sarto e la dignità umana un problema di cuciture.

valeria palumbo

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