Da tempo mi preme mettere in luce il rapporto tra gli autori della narrativa crime e la suggestione di luoghi, reali o immaginari, che domina la loro scena narrativa. Questa volta Bruno Morchio (Premio Scerbanenco 2023 con La fine è ignota, Rizzoli, collana Nero Rizzoli, 2023), ci regala intensi brani dedicati alla sua Genova. Per Dumas città dalla «maestà di regina», «divina» per Wagner e «tutta di marmo» per Flaubert, oggi la Genova ottocentesca pare aver ceduto il passo a una realtà tormentata da insanabili contrasti e da un declino inesorabile cui neppure il più accurato maquillage attira-turisti sembra in grado di porre rimedio. Acuto, a tratti spietato interprete di questa attualità dissonante, Bruno Morchio ritrae con chirurgica lucidità gli effetti della globalizzazione su una città che ama dalle viscere. E così dà vita a personaggi – in primis Bacci Pagano che tra poco compie vent’anni dalla prima apparizione sulla scena letteraria, ma anche il più recente Mariolino Migliaccio e tanti altri -, cui proprio la genovesità regala una dolorosa evidenza di carne e sangue.
Ed ecco dunque alcune vivide impressioni che l’autore ci consegna, tratte da Nel cuore di Genova. Viaggio nella città di Bacci Pagano (Il Canneto Editore, 2022).
LA GENOVA DI BACCI PAGANO
di
BRUNO MORCHIO
Fin dalla sua prima comparsa, in Una storia da carruggi (2004), Bacci Pagano è un personaggio disilluso ed esacerbato che tampona la propria amarezza con un disincanto di facciata. Espressione di un mondo che non c’è più, è nato nel quartiere di via Madre di Dio, raso al suolo negli anni Sessanta per fare posto a un non luogo, il centro direzionale di Carignano, quello dei famigerati giardini di plastica; figlio di operai genoani e comunisti e del boom economico, è cresciuto in una Genova che, con Milano e Torino, è stata il terzo polo industriale italiano, uno dei primi porti del Mediterraneo, con una popolazione che ha rasentato il milione di abitanti. «Il nostro è un destino da orfani», sentenzia brindando con l’amica Gina Aliprandi nel racconto Al ballo a Fontanigorda, ma se si eccettuano alcuni riferimenti a dettagli dell’infanzia, in primis il rapporto con il nonno Baciccia, la nostalgia non rientra nella gamma dei sentimenti che affliggono il “ratto dei carruggi”. La dolorosa consapevolezza che non c’è stata alcuna età dell’oro da rimpiangere si accompagna all’impietoso spettacolo del declino – demografico, economico e culturale – della città. Domina gli ultimi romanzi un retrogusto amaro, accompagnato dalla reiterata conferma, indagine dopo indagine, dello scacco al quale è condannata gran parte dell’umanità, quella dei perdenti della Storia, in una società sempre più dominata da una economia finanziaria priva di scrupoli e sostanzialmente criminale. Non c’è mai stato alcun giardino dell’Eden, la vita nella fabbrica e nei malsani quartieri cresciuti intorno alle fabbriche è sempre stata una merda, ma almeno un tempo c’era voglia di lottare e di riscatto e le illusioni sono servite a puntellare la dignità di chi non possiede niente, se non la propria capacità di lavoro.
È inevitabile, date queste premesse, che l’amore per Genova entri in rotta di collisione con la retorica della città meravigliosa, paradiso turistico che combina storia e natura, palazzi secolari e marine, arte e nautica da diporto. Un dissidio profondo e insanabile che distilla rabbia e dolore.
“Genova, la mia maledetta città frastornata dalle campane delle chiese e dalle sirene delle navi che entrano ed escono dal porto. La Superba con le pezze al culo. Chiusa, inospitale, provinciale, vecchia e rincantucciata in una delle infinite periferie del mondo. In vent’anni ha perduto duecentomila abitanti, quasi tutte le industrie, i fasti dell’aristocrazia mercantile e l’orgoglio di classe di un proletariato tra i più agguerriti d’Europa. Coltiva la sua altezzosa agonia come un vecchio demente che ha dimenticato la strada di casa. (Lo Spaventapasseri, Garzanti 2013)”.
E qui sta forse il nocciolo che caratterizza gli ultimi romanzi: si è rotto l’incanto, l’idillio con la città; Genova non funge più da seconda pelle, oasi in cui rincantucciarsi quando le miserie che affiorano nel lavoro investigativo mettono a dura prova l’equilibrio del detective. Il dolore scaturisce dall’amore viscerale per le sue strade e i suoi palazzi, i trapezi di cielo ritagliati tra le grondaie, l’odore di piscio dei carruggi, le luminarie delle alture, il rumore della risacca e il profumo della maccaia, ma tutto questo non basta, non può bastare: Genova da madre è diventata matrigna, perché con la sua immobilità ha costretto i propri figli a partire per cercare altrove una vita decente, e i belletti con cui si traveste per rendersi attraente non possono riscattarne la spietata grettezza.
La città continua a spopolarsi. Per ogni nuovo nato contiamo due decessi, l’invecchiamento demografico ha assunto dimensioni allarmanti che inducono a domandarsi chi pagherà domani le pensioni di chi vive in questo ospizio di lusso. Genova ha perduto la sua capacità di attrarre manodopera qualificata; la professionalità più richiesta è quella del badante, e a soddisfare tale domanda provvedono gli immigrati, specie le donne provenienti dall’Europa dell’est e dall’America Latina; i giovani italiani con un buon titolo di studio e una solida famiglia alle spalle emigrano e quelli che restano, in numero sempre crescente, non concludono gli studi e non trovano lavoro o devono accontentarsi di un lavoro precario e dequalificato. I quartieri “residenziali”, da Oregina a Marassi alla collina di Albaro, alle sette di sera diventano lugubri mortori, con le strade deserte come se calasse il coprifuoco; paradossalmente sono molto più vive le borgate ritenute “difficili”, come il Campasso, popolate da immigrati la cui età media è sensibilmente più bassa. In questo quadro la sciagurata propaganda della destra politica, che agita lo spauracchio della cosiddetta invasione, risulta controproducente e perfino grottesca.
Le eccellenze produttive e di ricerca capaci di attrarre nuove intelligenze si contano sulle dita di una mano, isole felici, sì, ma anche cattedrali nel deserto. L’industria è ormai ridotta all’osso e a tirare il carro c’è rimasto il porto, dove l’automazione e l’innovazione tecnologica hanno moltiplicato la produttività del lavoro senza peraltro determinare significative ricadute sull’occupazione. Inoltre, i collegamenti con l’hinterland per lo smaltimento delle merci risultano carenti e questo ne soffoca le potenzialità di sviluppo.
Le vicende seguite al crollo del ponte Morandi, la “scoperta” che le nostre infrastrutture, realizzate negli anni Sessanta e Settanta, non sono state adeguatamente controllate, manutenute e messe in sicurezza, hanno esasperato la condizione di cronico isolamento della città e della regione, le cui strade e autostrade sono afflitte da uno stillicidio di cantieri che rendono gli spostamenti sempre più problematici.
Insomma, non è al passato che guarda il vecchio investigatore quando sente di vivere nel tempo sbagliato, memore di quanto scriveva uno dei maestri del noir mediterraneo, lo scrittore marsigliese Jean-Claude Izzo: «Interrogare il passato non serve a niente. È al futuro che bisogna fare le domande. Senza il futuro il presente è solo disordine».
Da Nel cuore di Genova. Viaggio nella città di Bacci Pagano, Il Canneto Editore 2022
L’autore
BRUNO MORCHIO (Genova, 6 agosto 1954) è uno scrittore e psicologo italiano. È autore di romanzi ascrivibili al genere “noir mediterraneo“.
Vive a Genova dove ha lavorato come psicologo e psicoterapeuta. Laureatosi in lettere moderne nel 1979, inizia presto a interrogarsi se nella vita intenda occuparsi di persone o di libri e si iscrive a Psicologia a Padova, dove termina gli studi nel 1984. Dal 1988 ha lavorato come psicologo in un consultorio familiare pubblico.
Dibattuto tra l’interesse per la psicoanalisi e l’amore per la letteratura, nel 1999 scrive il suo primo romanzo, Maccaia, ma non riesce a trovare un editore. Nonostante l’insuccesso inizia a scrivere il suo secondo romanzo, La creûza (pronuncia [ˈkrøːza]) degli ulivi.
La Fratelli Frilli Editori, piccola casa editrice genovese interessata al genere giallo noir, soprattutto se di ambientazione ligure, nel 2004 gli pubblica Bacci Pagano. Una storia da carruggi. Stampato inizialmente in mille copie, consegue un successo imprevisto che porta alla sua ristampa ancor prima della notorietà ottenuta con i servizi giornalistici dell’edizione ligure del TGR, de Il Secolo XIX e dell’edizione genovese de La Repubblica.
Il successo riscosso gli permette finalmente la pubblicazione, sempre da parte della Fratelli Frilli, dei romanzi scritti in precedenza (Maccaia, 2004, e La Creuza degli ulivi. Le donne di Bacci Pagano, 2005. Negli anni successivi, inizia la collaborazione con Garzanti, pubblicando Con la morte non si tratta (2006), Colpi di coda (2007), Rossoamaro (2008), che vince il Premio Azzeccagarbugli al romanzo poliziesco e Le cose che non ti ho detto (2010).
I primi due libri della serie sono stati tradotti in tedesco da Ingrid Ickler e pubblicati nel 2007 e 2008 dalla Unionsverlag di Zurigo con il titolo Kalter Wind in Genua e Wölfe in Genua. La casa editrice dtv di Monaco di Baviera ha pubblicato la traduzione di Rossoamaro, nel 2010, con il titolo Bitteres Rot e quella di Con la morte non si tratta, nel 2011, con il titolo Der Tod verhandelt nicht.
Il successivo romanzo, Il profumo delle bugie (2012), finalista al Premio Bancarella 2013, non è un noir e racconta con scrittura ironica e talvolta grottesca le vicende di una famiglia alto-borghese che, a ridosso del Natale, vive la propria tragicomica consunzione.
Nel novembre 2013 esce una nuova avventura dell’investigatore genovese, Lo spaventapasseri, che tira tre edizioni entro Natale e nel 2014 si aggiudica il Premio Lomellina in giallo.
Nel settembre 2014 esce Un conto aperto con la morte, finalista al Premio Nebbia Gialla, nuova indagine di Bacci Pagano raccontata dall’alter-ego dell’autore, lo scrittore Gian Claudio Vasco (in omaggio ai maestri Izzo e Vazquez Montalban),
Nell’aprile 2015 pubblica con Rizzoli Il testamento del Greco, una spy story in cui compare un nuovo personaggio, il trentaseienne Alessandro Kostas, figlio di un ex agente dei Servizi segreti detto il Greco.
Nel maggio 2016, di nuovo con Garzanti, esce una nuova indagine dell’investigatore genovese, forse quella dove più ha attinto al suo lavoro di psicologo, Fragili verità, selezionato tra i cinque finalisti del Premio Scerbanenco 2016.
Nell’ottobre 2017 pubblica con Rizzoli Un piede in due scarpe, che ottiene la Menzione speciale della giuria del Premio Scerbanenco 2017, un giallo leggero e ironico nella Genova del 1992, che ha per protagonisti uno psicologo quasi quarantenne, il dottor Paolo Luzi, e un commissario altoatesino di nome Ingravallo, come il celebre don Ciccio de Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Gadda.
Nel 2018 esce Uno sporco lavoro. La calda estate del giovane Bacci Pagano, prequel che racconta la prima indagine svolta dall’investigatore dei carruggi.
Seguono Le sigarette del manager. Bacci Pagano indaga in val Polcevera (2019) e Voci nel silenzio. Dalla quarantena, Bacci Pagano e gli spettri del passato (2020).
Sempre nel 2020 ma presso Rizzoli, viene pubblicato Dove crollano i sogni di cui, sullo sfondo della periferia degradata di Certosa, è protagonista la diciassettenne Blondi che vi abita inchiodata all’asfalto, tra le panchine dei giardinetti e un sordido bar, ritrovo degli ultras della Sampdoria e dei suoi improbabili amici.
Nel 2021, ancora per Garzanti, esce Nel tempo sbagliato. Bacci Pagano e l’arte della fuga nel quale, sullo sfondo di una Genova che ha avviato la sua metamorfosi da città operaia e industriale ad attrazione turistica affacciata sul nuovo millennio, Bacci si deve far strada tra le mille sfaccettature della natura umana, vette di candido lirismo e abissi di miserevole abiezione.
Nel 2022 dedica alla sua città Nel cuore di Genova (Il Canneto Editore) un ritratto di chirurgica lucidità nel quale racconta, attraverso i romanzi di Bacci Pagano, la verità su una metropoli, sulle sue metamorfosi, sulle sue commistioni più fertili, sulle sue chiusure più ermetiche, sulla sua bellezza ineguagliabile.
Nel 2023 per Rizzoli, dà alle stampe La fine è ignota e si aggiudica il Premio Giorgio Scerbanenco 2023. Vi introduce un nuovo personaggio, Mariolino Migliaccio, poco più di trent’anni e neanche un soldo. Grande amante del cinema americano, fa l’investigatore privato abusivo e riceve i clienti in un bar dei carruggi.
A fine 2023 per Garzanti. pubblica Le ombre della sera, in cui, riportando in scena personaggi e vicende di altri capitoli della saga, trascina Bacci Pagano in un viaggio dentro se stesso e lo induce a riflettere sull’amicizia, il passare del tempo, la vecchiaia, la morte, persino la sua stessa identità.
La foto di Bruno Morchio è di @Gianni Ansaldi