Brutta storia il collezionismo.
Il mio antiquario me lo dice sempre, ma con poca convinzione ché non intende perdere il suo cliente preferito che investe tempo e denaro tra cianfrusaglie e libri antichi.
Ma quando un libro è “il” libro, allora le cose cambiano e divengono una vera e propria ossessione, primo titolo della carriera del Maestro del brivido Stephen King.
La trama intessuta da Mamaloukas è robusta e ruota attorno ad un misteriosissimo manoscritto dell’Autore del Maine, risalente ad anni oscurati dalle nebbie del passato per il quale solo una fotografia diviene strumento di ricerca e indizio per percorrere strade e continenti alla ricerca di un fantomatico testo, la cui ricerca si tinge di quel colore scarlatto al quale proprio King ci ha abituato.
Ciò che colpisce il lettore sono i titoli dei capitoli nella forma di un contachilometri che va via via approssimandosi allo zero, mentre citazioni dell’opera kinghiana, chiare o meglio occultate, vengono disseminate tra le righe di un romanzo che, se da un lato è decisamente un buon giallo, dall’altro lato è un divertissement sia per l’autore, sia per il lettore.
I richiami alle opere dell’Autore del Maine, però, non sono mai fini a se stesse, né appaiono come una mera esibizione di conoscenza letteraria, perché sono strumentali ad una trama che va via via inerpicandosi tra carta e inchiostro rosso, dal nuovo al vecchio continente, dalla Grande Mela alla città di Sua Maestà Elisabetta II, in un tourbillon di eventi e di tessere di un mosaico narrativo ottimamente architettato.
Chuck Berry e la sua sei corde saprebbe molto bene descrivere i ritmi concitati di questa narrazione, inaspettata scoperta molto ben curata nella grafica e nei particolari da Crocetti Editore.