Sulla pietra – Fred Vargas



Fred Vargas
Sulla pietra
Einaudi
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Fred Vargas ritorna in libreria dopo sette anni da Il morso della reclusa, in cui avevamo lasciato un Adamsberg un po’ malinconico, quasi percepisse la stanchezza della vena creativa della sua autrice. Sulla pietra ci riporta un Adamsberg in gran forma, stralunato e vago come suo solito, che abbandona l’ Anticrimine di Parigi nelle fidate (e razionali) mani del suo vice Danglard per avventurarsi in Bretagna, sulle tracce di un enigmatico fantasma chiamato lo Zoppo e di ben più reali omicidi, che fanno temere la presenza di un serial killer.
Insieme al collega Matthieu, che oscilla, come tutti quelli che s’imbattono in Adamsberg, tra la perplessità e l’ammirazione, il nostro commissario dovrà decifrare una ragnatela complessa e intricata che si scioglierà in un finale in perfetto stile Vargas, mirabolante e stupefacente. Accanto alla consueta e improbabile squadra parigina, con il rustico tenente Noël, l’acuto Veyrenc, l’espertissimo informatico Mercadet che però soffre di ipersonnia e l’inossidabile Violette Retancourt, più invulnerabile di Superman, la Vargas inserisce nel libro dei curiosi personaggi del posto, tra cui spicca Josselin de Chateaubriand, il sosia del famoso scrittore romantico François- René de Chateaubriand, originario dei luoghi in cui si svolge l’azione. 

Lo stile della Vargas è assolutamente singolare nel panorama non solo del giallo francese ma di quello internazionale, in primo luogo in quanto esperta di archetipi linguistici e narrativi, in secondo luogo per l’eleganza e la letterarietà della scrittura, che hanno portato alla definizione di giallo ‘poetico’, e per la musicalità del ritmo (evidente nell’originale francese). I suoi personaggi quasi surreali, che sarebbero certo piaciuti ad Achille Campanile, sono però pervasi da un realismo dolente, da sconfitte esistenziali che non risparmiano nessuno, ma trasformate dal talento della scrittrice in connotazioni proustiane. Basti pensare alla descrizione di Adamsberg che, sdraiato sul menhir (la pietra del titolo), avverte le ‘bolle’ risalire alla coscienza dalla palude oscura del subconscio per condurlo alla risoluzione del caso. O alla malinconica eppure ironica figura di Josselin de Chateaubriand, un perdente nella vita reale eppure trasportato, grazie all’incredibile somiglianza col suo omonimo antenato, nell’empireo dell’immaginario della letteratura. Come accade sempre nei libri della Vargas, ogni personaggio, anche il più marginale e negletto, è portatore di un’intensa e originale umanità.

La trasferta in terra bretone ha dunque molto giovato alla vena creativa della scrittrice, il lettore ritrova intatti i personaggi che dopo tante avventure aveva malinconicamente salutato sette anni fa e non attende l’ora di ricominciare con loro a immergersi in nuovi crimini e surreali peripezie.

Donatella Brusati

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